Antichi e sedimentati stereotipi, per così dire disabilitanti, associano sia i soggetti con disabilità sia le donne nello stigma della fragilità, della instabilità emotiva e del bisogno di cura, intesi come cifre che ne contrassegnano il disvalore. Siffatta svalorizzazione è ancorata ad un preciso costrutto paradigmatico di identità personale che qualifica quest’ultima nei termini maschili della indipendenza, del logos, della prestanza abile. È il modello ideale di individuo celebrato dalla tradizione del pensiero occidentale (e di cui le molteplici crisi del Novecento hanno avviato lo sfaldamento), che ha destinato i corpi e le menti delle donne e delle persone con disabilità a una lunga storia di pesante svalorizzazione. Una storia di svalorizzazione contrappuntata da politiche di violenza e sottomissione, di controllo, occultamento, esclusione e segregazione. Tra i dispositivi agiti in tali politiche, quello dell’istruzione e dell’educazione si presenta tra i più potenti. È accaduto, così, che le bambine, le ragazze e le donne con disabilità siano state oggetto di un pregiudizio aberrante che le ha a lungo tenute lontano da ogni forma di istruzione e le vede, ancora oggi, nelle nostre società illuminate da una cultura dell’inclusione, soggette a pratiche di orientamento agli studi che le indirizzano verso scelte scolastiche e universitarie non volute, che le porteranno a occupare posizioni e ruoli subalterni in ambito lavorativo e sociale. Ciò chiama a una riflessione e a una operatività pedagogica e didattica che sappia problematizzare l’esistente e progettare una inclusività critica e radicale.
DIFFERENZE DI GENERI E DI ABILITÀ NEI MONDI DELLA FORMAZIONE
Rosa Gallelli
2022-01-01
Abstract
Antichi e sedimentati stereotipi, per così dire disabilitanti, associano sia i soggetti con disabilità sia le donne nello stigma della fragilità, della instabilità emotiva e del bisogno di cura, intesi come cifre che ne contrassegnano il disvalore. Siffatta svalorizzazione è ancorata ad un preciso costrutto paradigmatico di identità personale che qualifica quest’ultima nei termini maschili della indipendenza, del logos, della prestanza abile. È il modello ideale di individuo celebrato dalla tradizione del pensiero occidentale (e di cui le molteplici crisi del Novecento hanno avviato lo sfaldamento), che ha destinato i corpi e le menti delle donne e delle persone con disabilità a una lunga storia di pesante svalorizzazione. Una storia di svalorizzazione contrappuntata da politiche di violenza e sottomissione, di controllo, occultamento, esclusione e segregazione. Tra i dispositivi agiti in tali politiche, quello dell’istruzione e dell’educazione si presenta tra i più potenti. È accaduto, così, che le bambine, le ragazze e le donne con disabilità siano state oggetto di un pregiudizio aberrante che le ha a lungo tenute lontano da ogni forma di istruzione e le vede, ancora oggi, nelle nostre società illuminate da una cultura dell’inclusione, soggette a pratiche di orientamento agli studi che le indirizzano verso scelte scolastiche e universitarie non volute, che le porteranno a occupare posizioni e ruoli subalterni in ambito lavorativo e sociale. Ciò chiama a una riflessione e a una operatività pedagogica e didattica che sappia problematizzare l’esistente e progettare una inclusività critica e radicale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.