Andrea Matteo III Acquaviva d’Aragona, duca d’Atri, principe di Teramo, conte di Conversano, esponente di un antichissimo lignaggio appartenente al nucleo storico della nobiltà del Mezzogiorno italiano, fu un principe illuminato a capo di un grande e composito ‘stato’ feudale, che si estendeva dalla Terra di Bari a quella di Teramo, con un’importante propaggine in Campania, lo ‘stato’ di Caserta. Pur essendo stato alquanto ribelle verso il potere regio, cadendo nell’insubordinazione e nella congiura, riuscì ad evitare la prigionia molto probabilmente per i legami parentali con la casa reale aragonese. Nel 1503, invece, dopo essersi schierato con la parte filofrancese a sostegno di Luigi XII, sconfitto e catturato dagli spagnoli a Rutigliano, conobbe la dura esperienza della reclusione per circa quattro anni a Napoli, in Castel Nuovo, con i segni di diciassette ferite sul corpo e i ceppi ai piedi (come egli stesso scrisse più tardi in una lettera al Lautrec) e la perdita dei possessi feudali, ottenendo solo in seguito da Ferdinando il Cattolico la reintegrazione nei feudi d’Abruzzo e di Puglia. Fortemente impegnato sul piano della vita politica e militare, il “bisogno di eternità” dell’Acquaviva - come di molte altre famiglie baronali napoletane - comportava un’attenzione tutta particolare verso quei ‘segni’ materiali che potevano testimoniare la lunga durata del potere, della gloria, della memoria familiare nei suoi compositi e vasti domini: maestosi palazzi e castelli, chiese e monasteri, monumenti funebri, oggetti suntuari, importanti dipinti, pregevoli manoscritti miniati con una ricerca di sfarzo davvero monumentale. Vivendo all’insegna di una prodigale fastosità, Andrea Matteo III mostrò la capacità di indirizzare e promuovere opere letterarie, pittoriche, scultoree, musicali, conducendo un’intensa politica culturale (soprattutto dopo la sua prigionia per lavare l’onta della pena infamante subita) che accrebbe il suo prestigio e la sua magnanimità di Duca, riconosciutegli pubblicamente dal Pontano con la dedica del De Magnanimitate; e ribadì il proprio ruolo di mecenate anche attraverso il nuovo strumento di diffusione dell’ars impressoria, finanziando officine tipografiche per promuovere la diffusione dei testi più significativi dell’umanesimo napoletano: libri di arte militare, di giurisprudenza di medicina, di grammatica, di questioni morali e teologiche, divenendo il dedicatario di una pluralità di opere significative date alle stampe con il suo contributo finanziario. Profondo conoscitore della letteratura e della filosofia latina e greca, Andrea l’Acquaviva si fece promotore e divulgatore nell’entourage aristocratico del recupero di testi in lingua greca, allo scopo di promuoverne la conoscenza attraverso la pubblicazione di testi filologicamente corretti. Andrea Matteo è anche autore di una traduzione dal greco di una operetta rara nelle raccolte librarie umanistiche e reperita direttamente in Grecia, il De virtute morali di Plutarco, che egli corredò successivamente di un dotto commento filosofico, in cui inserì una trattazione di arte musicale (De musica) e un’altra di scienza astronomica (De astrologia); interessi, accanto a quelli filosofici, a lui entrambi molto cari. Pur concepita come una meditazione privata nell’esercizio dell’otium letterario (inteso come completamento dell’uomo d’armi e del signore) e destinata ad una fruizione ristretta alla cerchia nobiliare di alcuni dotti amici, la sua opera fu data alle stampe nel 1526. La traduzione acquaviviana del De virtute morali di Plutarco ci è stata trasmessa da sette testimoni, cinque manoscritti e due a stampa, a cui Claudia Corfiati ha prestato le sue minuziose cure per la realizzazione della edizione critica.

Prefazione

Caterina Lavarra
;
2022-01-01

Abstract

Andrea Matteo III Acquaviva d’Aragona, duca d’Atri, principe di Teramo, conte di Conversano, esponente di un antichissimo lignaggio appartenente al nucleo storico della nobiltà del Mezzogiorno italiano, fu un principe illuminato a capo di un grande e composito ‘stato’ feudale, che si estendeva dalla Terra di Bari a quella di Teramo, con un’importante propaggine in Campania, lo ‘stato’ di Caserta. Pur essendo stato alquanto ribelle verso il potere regio, cadendo nell’insubordinazione e nella congiura, riuscì ad evitare la prigionia molto probabilmente per i legami parentali con la casa reale aragonese. Nel 1503, invece, dopo essersi schierato con la parte filofrancese a sostegno di Luigi XII, sconfitto e catturato dagli spagnoli a Rutigliano, conobbe la dura esperienza della reclusione per circa quattro anni a Napoli, in Castel Nuovo, con i segni di diciassette ferite sul corpo e i ceppi ai piedi (come egli stesso scrisse più tardi in una lettera al Lautrec) e la perdita dei possessi feudali, ottenendo solo in seguito da Ferdinando il Cattolico la reintegrazione nei feudi d’Abruzzo e di Puglia. Fortemente impegnato sul piano della vita politica e militare, il “bisogno di eternità” dell’Acquaviva - come di molte altre famiglie baronali napoletane - comportava un’attenzione tutta particolare verso quei ‘segni’ materiali che potevano testimoniare la lunga durata del potere, della gloria, della memoria familiare nei suoi compositi e vasti domini: maestosi palazzi e castelli, chiese e monasteri, monumenti funebri, oggetti suntuari, importanti dipinti, pregevoli manoscritti miniati con una ricerca di sfarzo davvero monumentale. Vivendo all’insegna di una prodigale fastosità, Andrea Matteo III mostrò la capacità di indirizzare e promuovere opere letterarie, pittoriche, scultoree, musicali, conducendo un’intensa politica culturale (soprattutto dopo la sua prigionia per lavare l’onta della pena infamante subita) che accrebbe il suo prestigio e la sua magnanimità di Duca, riconosciutegli pubblicamente dal Pontano con la dedica del De Magnanimitate; e ribadì il proprio ruolo di mecenate anche attraverso il nuovo strumento di diffusione dell’ars impressoria, finanziando officine tipografiche per promuovere la diffusione dei testi più significativi dell’umanesimo napoletano: libri di arte militare, di giurisprudenza di medicina, di grammatica, di questioni morali e teologiche, divenendo il dedicatario di una pluralità di opere significative date alle stampe con il suo contributo finanziario. Profondo conoscitore della letteratura e della filosofia latina e greca, Andrea l’Acquaviva si fece promotore e divulgatore nell’entourage aristocratico del recupero di testi in lingua greca, allo scopo di promuoverne la conoscenza attraverso la pubblicazione di testi filologicamente corretti. Andrea Matteo è anche autore di una traduzione dal greco di una operetta rara nelle raccolte librarie umanistiche e reperita direttamente in Grecia, il De virtute morali di Plutarco, che egli corredò successivamente di un dotto commento filosofico, in cui inserì una trattazione di arte musicale (De musica) e un’altra di scienza astronomica (De astrologia); interessi, accanto a quelli filosofici, a lui entrambi molto cari. Pur concepita come una meditazione privata nell’esercizio dell’otium letterario (inteso come completamento dell’uomo d’armi e del signore) e destinata ad una fruizione ristretta alla cerchia nobiliare di alcuni dotti amici, la sua opera fu data alle stampe nel 1526. La traduzione acquaviviana del De virtute morali di Plutarco ci è stata trasmessa da sette testimoni, cinque manoscritti e due a stampa, a cui Claudia Corfiati ha prestato le sue minuziose cure per la realizzazione della edizione critica.
2022
9788867662807
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/415698
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