Il saggio ricostruisce caratteri e dinamiche del sistema radiotelevisivo pugliese dalla stagione della cosiddetta “libertà d’antenna”, a metà anni Settanta, fino all’intervento della legge Mammì. La storia dei sistemi radiotelevisivi regionali e locali rimane un campo ancora poco indagato dalla storiografia, che ha concentrato i suoi sforzi anzitutto verso la ricostruzione della lunga vicenda dell’emittenza nazionale, ponendo al centro dell’osservazione il rapporto della televisione con le multiformi trasformazioni del quadro politico, sociale ed economico. Molto si è insistito anche sui mutamenti di ordine culturale e simbolico, analizzando le dinamiche dell’industria delle produzioni televisive, i palinsesti e gli orientamenti del pubblico. Più di rado, oggetto di indagine sono state le storie delle singole emittenti televisive, spesso scelte in ragione dei loro primati, del loro ruolo nello sfidare e nel provocare la rottura del monopolio pubblico o della loro capacità di assurgere rapidamente a una dimensione nazionale e di controllo oligopolistico del mercato . Ciò nondimeno permane l’impressione di una persistente lacunosità e frammentarietà degli studi in riferimento alle molteplici varianti offerte dai sottosistemi radiotelevisivi locali, i cui pochi esempi sembrano essere rimasti fin qui relegati a interessi episodici o alla recente messe di pubblicazioni stimolata dalle celebrazioni per il cinquantesimo delle Regioni a statuto ordinario. Si tratta dunque di comprendere relazioni e dinamiche storicamente intercorse tra la progressiva formazione di un’emittenza nazionale a carattere misto, pubblico e privato, e le porzioni locali e regionali di questo sistema. Queste pagine intendono cioè tenere adeguatamente conto dei diversi livelli di scala della radiotelevisione italiana e dei modi in cui hanno interagito tra loro, sia in senso orizzontale – i rapporti tra media radiofonici e televisivi – sia in senso verticale – rispetto alle diverse dimensioni aziendali e territoriali – assorbendo e generando le trasformazioni sociali, culturali ed economiche. L’approccio adottato guarda di conseguenza allo spazio di ricerca esistente tra i due opposti delle grandi ricostruzioni di taglio generale e di una logica ex post che finora sembra aver privilegiato i singoli casi di emittenti pionieristiche e di successo, cercando una strada diversa e complementare per comprendere l’attuale assetto del sistema radiotelevisivo che consiste nel tenere debitamente conto anche dei fallimenti e delle estinzioni; dunque, dei possibili esiti alternativi e mancati. La ricostruzione chiama in causa lo specifico della funzione che, in Puglia come nel Mezzogiorno e nel resto d’Italia, centinaia di stazioni locali e regionali si sono assunte nel mediare tra narrazioni globalizzanti e senso dell’autentico; tra crisi sociali ed economiche e governo del territorio; tra denazionalizzazione delle culture di massa e ri-localizzazione dei sistemi di rappresentazione delle comunità meridionali; tra ideologie partitiche, movimenti collettivi e posture individualiste. La scelta della Puglia trova giustificazione in una realtà regionale che nella seconda metà del Novecento costituiva una cerniera tra modernizzazione e arretratezza, mescolando dinamiche ritardatarie e fenomeni di sviluppo squilibrato, industrializzazione dall’alto e piccole e medie realtà produttive, dinamismo e irrequietezza dei contesti urbani e relitti della civiltà contadina, contestazione giovanile e rampantismo di nuovi ceti borghesi. L’insieme di queste dinamiche non mancò di influenzare in modo significativo l’articolazione del sistema radiotelevisivo privato regionale e i suoi stessi significati, rimasti a lungo nel mezzo di un rapporto irrisolto tra spinte alla contestazione del potere e resistibili pulsioni al profitto, tra appendici periferiche dell’economia mista e più schiette espressioni e logiche di mercato.
L’“onda selvaggia” dell’emittenza radiotelevisiva pugliese (1973-90)
Antonio Bonatesta
2022-01-01
Abstract
Il saggio ricostruisce caratteri e dinamiche del sistema radiotelevisivo pugliese dalla stagione della cosiddetta “libertà d’antenna”, a metà anni Settanta, fino all’intervento della legge Mammì. La storia dei sistemi radiotelevisivi regionali e locali rimane un campo ancora poco indagato dalla storiografia, che ha concentrato i suoi sforzi anzitutto verso la ricostruzione della lunga vicenda dell’emittenza nazionale, ponendo al centro dell’osservazione il rapporto della televisione con le multiformi trasformazioni del quadro politico, sociale ed economico. Molto si è insistito anche sui mutamenti di ordine culturale e simbolico, analizzando le dinamiche dell’industria delle produzioni televisive, i palinsesti e gli orientamenti del pubblico. Più di rado, oggetto di indagine sono state le storie delle singole emittenti televisive, spesso scelte in ragione dei loro primati, del loro ruolo nello sfidare e nel provocare la rottura del monopolio pubblico o della loro capacità di assurgere rapidamente a una dimensione nazionale e di controllo oligopolistico del mercato . Ciò nondimeno permane l’impressione di una persistente lacunosità e frammentarietà degli studi in riferimento alle molteplici varianti offerte dai sottosistemi radiotelevisivi locali, i cui pochi esempi sembrano essere rimasti fin qui relegati a interessi episodici o alla recente messe di pubblicazioni stimolata dalle celebrazioni per il cinquantesimo delle Regioni a statuto ordinario. Si tratta dunque di comprendere relazioni e dinamiche storicamente intercorse tra la progressiva formazione di un’emittenza nazionale a carattere misto, pubblico e privato, e le porzioni locali e regionali di questo sistema. Queste pagine intendono cioè tenere adeguatamente conto dei diversi livelli di scala della radiotelevisione italiana e dei modi in cui hanno interagito tra loro, sia in senso orizzontale – i rapporti tra media radiofonici e televisivi – sia in senso verticale – rispetto alle diverse dimensioni aziendali e territoriali – assorbendo e generando le trasformazioni sociali, culturali ed economiche. L’approccio adottato guarda di conseguenza allo spazio di ricerca esistente tra i due opposti delle grandi ricostruzioni di taglio generale e di una logica ex post che finora sembra aver privilegiato i singoli casi di emittenti pionieristiche e di successo, cercando una strada diversa e complementare per comprendere l’attuale assetto del sistema radiotelevisivo che consiste nel tenere debitamente conto anche dei fallimenti e delle estinzioni; dunque, dei possibili esiti alternativi e mancati. La ricostruzione chiama in causa lo specifico della funzione che, in Puglia come nel Mezzogiorno e nel resto d’Italia, centinaia di stazioni locali e regionali si sono assunte nel mediare tra narrazioni globalizzanti e senso dell’autentico; tra crisi sociali ed economiche e governo del territorio; tra denazionalizzazione delle culture di massa e ri-localizzazione dei sistemi di rappresentazione delle comunità meridionali; tra ideologie partitiche, movimenti collettivi e posture individualiste. La scelta della Puglia trova giustificazione in una realtà regionale che nella seconda metà del Novecento costituiva una cerniera tra modernizzazione e arretratezza, mescolando dinamiche ritardatarie e fenomeni di sviluppo squilibrato, industrializzazione dall’alto e piccole e medie realtà produttive, dinamismo e irrequietezza dei contesti urbani e relitti della civiltà contadina, contestazione giovanile e rampantismo di nuovi ceti borghesi. L’insieme di queste dinamiche non mancò di influenzare in modo significativo l’articolazione del sistema radiotelevisivo privato regionale e i suoi stessi significati, rimasti a lungo nel mezzo di un rapporto irrisolto tra spinte alla contestazione del potere e resistibili pulsioni al profitto, tra appendici periferiche dell’economia mista e più schiette espressioni e logiche di mercato.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.