L’interesse manifestato per il motivo illecito di licenziamento è figlio del capovolgimento del sistema di tutele in materia di licenziamento ad opera dapprima della l. n. 92 del 2012 e successivamente del d.lgs. n. 23 del 2015, che hanno ristretto il rimedio ripristinatorio ai soli casi di licenziamenti nulli laddove nella precedente disciplina la reintegrazione nel posto di lavoro (e la connessa tutela economica) era la regola valevole per tutte le tipologie di vizio del licenziamento. Il mutamento di prospettiva si è riverberato sulle domande giudiziali incentrate sulla nullità del licenziamento discriminatorio e/o per motivo illecito alla base del recesso datoriale, in quanto unica porta di accesso alla tutela reintegratoria “piena” (2), a prescindere dal numero dei dipendenti occupati e quindi accessibile anche ai lavoratori licenziati da piccole imprese assoggettate alla tutela obbligatoria ex art. 6, l. n. 604 del 1966 e, oggi, per gli assunti con il contratto a tutele crescenti ex art. 9, d.lgs. n. 23 del 2015. Tale circostanza ha stimolato la dottrina e la giurisprudenza, nel loro costante dialogo a riordinare le categorie giuridiche (espressamente e non) richiamate dal legislatore, al fine di distinguere il licenziamento – semplicemente – carente di giustificazione da quello nullo, disegnando un quadro interpretativo dai confini non sempre chiari e uniformi soprattutto con riferimento al recesso dettato da motivo illecito.

Il "percorso ad ostacoli" del licenziamento per motivo illecito

Garofalo C
2020-01-01

Abstract

L’interesse manifestato per il motivo illecito di licenziamento è figlio del capovolgimento del sistema di tutele in materia di licenziamento ad opera dapprima della l. n. 92 del 2012 e successivamente del d.lgs. n. 23 del 2015, che hanno ristretto il rimedio ripristinatorio ai soli casi di licenziamenti nulli laddove nella precedente disciplina la reintegrazione nel posto di lavoro (e la connessa tutela economica) era la regola valevole per tutte le tipologie di vizio del licenziamento. Il mutamento di prospettiva si è riverberato sulle domande giudiziali incentrate sulla nullità del licenziamento discriminatorio e/o per motivo illecito alla base del recesso datoriale, in quanto unica porta di accesso alla tutela reintegratoria “piena” (2), a prescindere dal numero dei dipendenti occupati e quindi accessibile anche ai lavoratori licenziati da piccole imprese assoggettate alla tutela obbligatoria ex art. 6, l. n. 604 del 1966 e, oggi, per gli assunti con il contratto a tutele crescenti ex art. 9, d.lgs. n. 23 del 2015. Tale circostanza ha stimolato la dottrina e la giurisprudenza, nel loro costante dialogo a riordinare le categorie giuridiche (espressamente e non) richiamate dal legislatore, al fine di distinguere il licenziamento – semplicemente – carente di giustificazione da quello nullo, disegnando un quadro interpretativo dai confini non sempre chiari e uniformi soprattutto con riferimento al recesso dettato da motivo illecito.
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