Sono esaminati due epigrammi sepolcrali databili tra la fine del II e la prima metà del I sec. a.C., che riecheggiano in modo più o meno diretto il c.d. autoepitaffio di Pacuvio. In particolare il primo lo riproduce quasi integralmente, adattando il terzo verso, come necessario perché individuativo del defunto. L’adattamento comporta però anche il mutamento del metro da senario giambico a ottonario trocaico, forse anche per le caratteristiche del nome da inserire, come si hanno precedenti nella epigrammatica greca, ma non si può escludere un intento artistico oltre che pratico (perché si aveva bisogno di un numero maggiore di sillabe). Altri minimi adattamenti negli altri versi mostrano comunque la piena abilità del compositore anche nel mantenere la correttezza metrica. L’altro epigramma si sviluppa più liberamente in forma di elogio di un praeco, in un eloquio molto dignitoso, non privo di finezze retoriche secondo il gusto dell’epoca, fruttuosamente confrontabile per il lessico e le locuzioni con la letteratura, p. es. con espressioni elogiative di Cicerone.

Gli epigrammi per L. Maecius Pilotimus e A. Granius Stabilio (CIL, I, 1209 e 1210)

MASSARO, Matteo
1998-01-01

Abstract

Sono esaminati due epigrammi sepolcrali databili tra la fine del II e la prima metà del I sec. a.C., che riecheggiano in modo più o meno diretto il c.d. autoepitaffio di Pacuvio. In particolare il primo lo riproduce quasi integralmente, adattando il terzo verso, come necessario perché individuativo del defunto. L’adattamento comporta però anche il mutamento del metro da senario giambico a ottonario trocaico, forse anche per le caratteristiche del nome da inserire, come si hanno precedenti nella epigrammatica greca, ma non si può escludere un intento artistico oltre che pratico (perché si aveva bisogno di un numero maggiore di sillabe). Altri minimi adattamenti negli altri versi mostrano comunque la piena abilità del compositore anche nel mantenere la correttezza metrica. L’altro epigramma si sviluppa più liberamente in forma di elogio di un praeco, in un eloquio molto dignitoso, non privo di finezze retoriche secondo il gusto dell’epoca, fruttuosamente confrontabile per il lessico e le locuzioni con la letteratura, p. es. con espressioni elogiative di Cicerone.
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