L’evoluzione del sistema economico e dei modelli produttivi ha portato alla diversificazione delle figure di lavoro autonomo e all’emersione di un bisogno di tutela che è nuovo solo perché è espresso da una categoria di lavoratori storicamente e giuridicamente pensata come forte: il lavoratore autonomo è, di regola, colui che si muove in condizioni di libertà e di eguaglianza nel mercato contrattando regole e corrispettivo della prestazione. Invero, le cose non stanno realmente così perché vi è una parte di lavoratori autonomi, in particolare quei rapporti genuinamente autonomi in cui è apprezzabile l’incidenza dell’apporto personale nell’esecuzione della prestazione, che presentano un debole potere negoziale proprio a causa del funzionamento del mercato stesso. Infatti, contrariamente all’idea che costituisce luogo comune secondo cui la concorrenza economica non è concorrenza fra individui, bensì concorrenza fra imprese, in questo caso si verifica proprio ciò in cui la concorrenza economica non dovrebbe consistere, giacché sono proprio le attività (prevalentemente o esclusivamente) personali a svolgersi in regime di concorrenza, con tutte le conseguenze facilmente intuibili in ordine alla determinazione del corrispettivo in quanto elemento su cui si gioca la competizione al ribasso. Ciò non significa che la concorrenza non possa essere riconosciuta a livelli diversi da quello della competizione economica tra impresa, ma che è necessario regolarla poiché il lavoro rischia di non essere uno strumento sufficiente a raggiungere l’eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., secondo cui è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, anche economici, che impediscono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici. Insomma, quelle fattispecie in cui il lavoro porta con sé, alla stregua di un’antitesi inversa, il rischio di povertà È, quindi, opportuno riflettere sulla possibilità di distinguere nell’ambito del lavoro autonomo una classe di rapporti da proteggere non secondo il modello della disciplina collegata all’art. 2094 c.c. del lavoro subordinato, ma con norme che restituiscano a questi lavoratori autonomi la libertà nel mercato mediante il riequilibrio delle forze contrattuali e attribuiscano loro le necessarie tutele sociali. Nel disegno costituzionale complessivo il principio di tutela di cui all’art. 35 Cost. riguarda, infatti, tutte le attività lavorative che, per una qualsiasi ragione, si appalesano economicamente soggette, e quindi anche i lavoratori autonomi che soggiacciono alla prevalenza economica e organizzativa di un committente. Insomma, nell’ottica della presente ricerca, il lavoratore autonomo rientra nella tutela dell’art. 35 Cost. quando non ha la forza sufficiente per scongiurare che il compenso pattuito liberamente dalle parti nel mercato non sia giusto, cioè proporzionato al risultato ottenuto e al lavoro necessario per ottenerlo (art. 2225 c.c.), e quindi adeguato a liberare il lavoratore dalle situazioni di bisogno. Un compenso non “giusto” non consente, infatti, al prestatore di lavoro di raggiungere quegli obiettivi di cui secondo la nostra Costituzione il lavoro è strumento di garanzia. L'A. analizza il lavoro autonomo costituzionalmente tutelato e le fattispecie a cui il legislatore ha inteso conferire tutela sollevando i punti critici e le prospettive di protezione future anche alla luce dell'evoluzione e delle compatibilità col diritto europeo.

Le fonti di determinazione del compenso nel lavoro non subordinato

Ornella La Tegola
Writing – Original Draft Preparation
2022-01-01

Abstract

L’evoluzione del sistema economico e dei modelli produttivi ha portato alla diversificazione delle figure di lavoro autonomo e all’emersione di un bisogno di tutela che è nuovo solo perché è espresso da una categoria di lavoratori storicamente e giuridicamente pensata come forte: il lavoratore autonomo è, di regola, colui che si muove in condizioni di libertà e di eguaglianza nel mercato contrattando regole e corrispettivo della prestazione. Invero, le cose non stanno realmente così perché vi è una parte di lavoratori autonomi, in particolare quei rapporti genuinamente autonomi in cui è apprezzabile l’incidenza dell’apporto personale nell’esecuzione della prestazione, che presentano un debole potere negoziale proprio a causa del funzionamento del mercato stesso. Infatti, contrariamente all’idea che costituisce luogo comune secondo cui la concorrenza economica non è concorrenza fra individui, bensì concorrenza fra imprese, in questo caso si verifica proprio ciò in cui la concorrenza economica non dovrebbe consistere, giacché sono proprio le attività (prevalentemente o esclusivamente) personali a svolgersi in regime di concorrenza, con tutte le conseguenze facilmente intuibili in ordine alla determinazione del corrispettivo in quanto elemento su cui si gioca la competizione al ribasso. Ciò non significa che la concorrenza non possa essere riconosciuta a livelli diversi da quello della competizione economica tra impresa, ma che è necessario regolarla poiché il lavoro rischia di non essere uno strumento sufficiente a raggiungere l’eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., secondo cui è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, anche economici, che impediscono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici. Insomma, quelle fattispecie in cui il lavoro porta con sé, alla stregua di un’antitesi inversa, il rischio di povertà È, quindi, opportuno riflettere sulla possibilità di distinguere nell’ambito del lavoro autonomo una classe di rapporti da proteggere non secondo il modello della disciplina collegata all’art. 2094 c.c. del lavoro subordinato, ma con norme che restituiscano a questi lavoratori autonomi la libertà nel mercato mediante il riequilibrio delle forze contrattuali e attribuiscano loro le necessarie tutele sociali. Nel disegno costituzionale complessivo il principio di tutela di cui all’art. 35 Cost. riguarda, infatti, tutte le attività lavorative che, per una qualsiasi ragione, si appalesano economicamente soggette, e quindi anche i lavoratori autonomi che soggiacciono alla prevalenza economica e organizzativa di un committente. Insomma, nell’ottica della presente ricerca, il lavoratore autonomo rientra nella tutela dell’art. 35 Cost. quando non ha la forza sufficiente per scongiurare che il compenso pattuito liberamente dalle parti nel mercato non sia giusto, cioè proporzionato al risultato ottenuto e al lavoro necessario per ottenerlo (art. 2225 c.c.), e quindi adeguato a liberare il lavoratore dalle situazioni di bisogno. Un compenso non “giusto” non consente, infatti, al prestatore di lavoro di raggiungere quegli obiettivi di cui secondo la nostra Costituzione il lavoro è strumento di garanzia. L'A. analizza il lavoro autonomo costituzionalmente tutelato e le fattispecie a cui il legislatore ha inteso conferire tutela sollevando i punti critici e le prospettive di protezione future anche alla luce dell'evoluzione e delle compatibilità col diritto europeo.
2022
9791259651181
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/403071
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