The present essay looks at the Palestinian question within the field of artistic activism (artivism), which, through a myriad of graffiti (among which Banksy’s, Joy van Erven’s and Blu’s), offers a sort of counter-semiosis within the coloniality of power (Quijano), in the attempt to symbolically knock down the Israeli wall. This wall-border becomes a herida abierta that bleeds, in the words of Gloria Anzaldúa, the global south’s blood, forced to clash against the global north’s walls, Israel being the product of the latter (Said, Question). This wall-border becomes “global” to the extent that the defence barrier, as it is called by the Israeli, or apartheid wall, as called by the Palestinians, has become a sort of global canvas on which a transnational visual guerrilla is fought. This fight is here interpreted through the lens of decolonial thought and, to put it with Walter Benjamin, from the perspective of the tradition of the oppressed.
Il presente saggio prova ad affrontare la questione palestinese sul terreno dell’attivismo artistico (artivismo), che attraverso una miriade di graffiti (fra cui quelli di Banksy, Joy van Erven e Blu), offre una sorta di contro-semiosi dentro la colonialit del potere (Quijano), nel tentativo di sgretolare simbolicamente il muro israeliano. Questo confine-muro diventa una herida abierta che sanguina, per dirla con Gloria Anzaldua, del sangue del sud del mondo costretto a scontrarsi a mani nude contro i muri del nord del mondo, essendo Israele un prodotto di quest’ultimo (Said, Question). Questo confine-muro diventa “globale” nella misura in cui la defence barrier, come la chiamano gli israeliani, o l’apartheid wall, come lo chiamano gli attivisti internazionali, diventata una sorta di tela globale su cui si combatte una guerrilla visuale transnazionale, che qui viene interpretata con le lenti del pensiero decoloniale e dal punto di vista della tradizione degli oppressi (Walter Benjamin).
Semiosi e colonialità in Palestina: Riflessioni decoloniali sulla guerrilla visuale contro il muro israeliano
Cazzato L.
2021-01-01
Abstract
Il presente saggio prova ad affrontare la questione palestinese sul terreno dell’attivismo artistico (artivismo), che attraverso una miriade di graffiti (fra cui quelli di Banksy, Joy van Erven e Blu), offre una sorta di contro-semiosi dentro la colonialit del potere (Quijano), nel tentativo di sgretolare simbolicamente il muro israeliano. Questo confine-muro diventa una herida abierta che sanguina, per dirla con Gloria Anzaldua, del sangue del sud del mondo costretto a scontrarsi a mani nude contro i muri del nord del mondo, essendo Israele un prodotto di quest’ultimo (Said, Question). Questo confine-muro diventa “globale” nella misura in cui la defence barrier, come la chiamano gli israeliani, o l’apartheid wall, come lo chiamano gli attivisti internazionali, diventata una sorta di tela globale su cui si combatte una guerrilla visuale transnazionale, che qui viene interpretata con le lenti del pensiero decoloniale e dal punto di vista della tradizione degli oppressi (Walter Benjamin).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.