Scopo del contributo è quello di mettere in luce, attraverso l’analisi puntuale degli aspetti linguistici, stilistici e filologici, i punti di contatto tra il discorso pronunciato da Annibale nel carme 4,4 di Orazio e alcuni dei principi su cui si fonda il programma politico e culturale augusteo, primo fra tutti quello dell’esaltazione delle origini troiane dei Romani. In un carme celebrativo come 4,4 Pindaro diventa per Orazio un punto di riferimento tra i poeti greci sotto il profilo strutturale e stilistico. L’influsso di Pindaro si manifesta fin dall’esordio, con il ‘tour de force’ di un periodo che si snoda senza interruzioni per 28 versi fino a terminare con la menzione dei Nerones; il riferimento alla formazione del giovane Druso introduce la sezione gnomica dell’ode (vv. 29–36), incentrata sul rapporto tra virtù innata e doctrina; l’azione combinata di questi aspetti in Druso conduce alla rievocazione della vittoria riportata dal suo avo Claudio Nerone contro Asdrubale sul Metauro (vv. 37–48), a cui segue (v. 49) l’introduzione di Annibale come soggetto parlante: il discorso del condottiero comincia con un elogio della capacità da parte dei Romani di rafforzarsi attraverso le difficoltà, per cui si risale al comportamento degli antenati troiani fin dall’episodio dell’incendio di Ilio, e termina con una patetica presa d’atto della sconfitta, presentata come rovina totale del popolo cartaginese. Il ricorso da parte di Orazio alla sezione gnomica caratteristica delle odi di Pindaro, persegue sia lo scopo di giustificare da un punto di vista etico la vittoria di Druso, sia quello di collegare il presente con il passato. Nel discorso di Annibale l’attenzione si concentra sulla capacità dei Romani di rafforzarsi nelle difficoltà, che trova una dimostrazione esemplare nella rievocazione, intessuta di costanti richiami all’Eneide, delle vicissitudini successive all’incendio di Troia: chiaro è l’atto di omaggio nei confronti di un regime che puntava alla rivalutazione delle origini troiane dei Romani. Porre sulla bocca di colui che nella lirica oraziana è presentato come nemico di Roma per eccellenza un discorso di apprezzamento della forza militare e morale della gens Romana, con particolare riferimento alla saga di Enea, non può che conferire grande rilievo a tale motivo; il riferimento conclusivo ai successi militari conseguiti dalla gens Claudia grazie al favore di Giove e alle capacità strategiche di cui essa ha dato prova per acuta belli, ribadisce il concetto sviluppato nel discorso di Annibale e nello stesso tempo costituisce l’opportuna conclusione di un carme celebrativo in onore di Druso. Bibliografia J.W. Ambrose, Jr., Horace on foreign policy: Odes 4,4, in «The Classical Journal» 69, 1973, 26–33.
Merses profundo, pulchrior evenit: l'elogio della Roma augustea nelle parole di Annibale (Hor. Carm. 4,4,50-72)
CICCARELLI, Irma
In corso di stampa
Abstract
Scopo del contributo è quello di mettere in luce, attraverso l’analisi puntuale degli aspetti linguistici, stilistici e filologici, i punti di contatto tra il discorso pronunciato da Annibale nel carme 4,4 di Orazio e alcuni dei principi su cui si fonda il programma politico e culturale augusteo, primo fra tutti quello dell’esaltazione delle origini troiane dei Romani. In un carme celebrativo come 4,4 Pindaro diventa per Orazio un punto di riferimento tra i poeti greci sotto il profilo strutturale e stilistico. L’influsso di Pindaro si manifesta fin dall’esordio, con il ‘tour de force’ di un periodo che si snoda senza interruzioni per 28 versi fino a terminare con la menzione dei Nerones; il riferimento alla formazione del giovane Druso introduce la sezione gnomica dell’ode (vv. 29–36), incentrata sul rapporto tra virtù innata e doctrina; l’azione combinata di questi aspetti in Druso conduce alla rievocazione della vittoria riportata dal suo avo Claudio Nerone contro Asdrubale sul Metauro (vv. 37–48), a cui segue (v. 49) l’introduzione di Annibale come soggetto parlante: il discorso del condottiero comincia con un elogio della capacità da parte dei Romani di rafforzarsi attraverso le difficoltà, per cui si risale al comportamento degli antenati troiani fin dall’episodio dell’incendio di Ilio, e termina con una patetica presa d’atto della sconfitta, presentata come rovina totale del popolo cartaginese. Il ricorso da parte di Orazio alla sezione gnomica caratteristica delle odi di Pindaro, persegue sia lo scopo di giustificare da un punto di vista etico la vittoria di Druso, sia quello di collegare il presente con il passato. Nel discorso di Annibale l’attenzione si concentra sulla capacità dei Romani di rafforzarsi nelle difficoltà, che trova una dimostrazione esemplare nella rievocazione, intessuta di costanti richiami all’Eneide, delle vicissitudini successive all’incendio di Troia: chiaro è l’atto di omaggio nei confronti di un regime che puntava alla rivalutazione delle origini troiane dei Romani. Porre sulla bocca di colui che nella lirica oraziana è presentato come nemico di Roma per eccellenza un discorso di apprezzamento della forza militare e morale della gens Romana, con particolare riferimento alla saga di Enea, non può che conferire grande rilievo a tale motivo; il riferimento conclusivo ai successi militari conseguiti dalla gens Claudia grazie al favore di Giove e alle capacità strategiche di cui essa ha dato prova per acuta belli, ribadisce il concetto sviluppato nel discorso di Annibale e nello stesso tempo costituisce l’opportuna conclusione di un carme celebrativo in onore di Druso. Bibliografia J.W. Ambrose, Jr., Horace on foreign policy: Odes 4,4, in «The Classical Journal» 69, 1973, 26–33.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.