Il tema dell’utilizzo dei rapporti di lavoro autonomo e parasubordinato da parte delle pubbliche amministrazioni è diventato nel corso degli ultimi due decenni particolarmente sensibile per il legislatore, allo scopo di correggere due tendenze registrate nella prassi. Da un lato, il progressivo svuotamento dei ruoli organici dovuto ai vincoli imposti al turn-over del personale a tempo indeterminato ha fatto osservare nel settore pubblico un massiccio ricorso a forme di impiego flessibile (subordinate e autonome), garantito dalla “immunità” della impossibilità della trasformazione a tempo indeterminato (stante il divieto di cui all’art. 36, d.lgs. n. 165/2001). Dall’altro, un tale canale “alternativo” di reclutamento, foriero di comprensibili aspettative di stabilizzazione da parte dei lavoratori interessati, si è frequentemente contraddistinto per la mancanza di una effettiva capacità di selezione (e talvolta con veri e propri atteggiamenti clientelari), con pesanti ricadute non solo sugli equilibri finanziari degli Enti ma anche sulla qualità dell’azione amministrativa. La complessa stratificazione normativa, che l'A. ricostruisce, ha determinato l’importante affermazione del principio per cui le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali col migliore e più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui dispongono. Si tratta di una prospettiva che comporta, sotto altro profilo, una distanza sempre più evidente dall’assetto regolativo del settore privato, dove nello stesso arco temporale, dapprima con il lavoro a progetto e poi con le collaborazioni etero-organizzate, si è invece registrato un crescente interesse alle tutele da destinare ai lavoratori “parasubordinati”. Anche in questo, deve segnalarsi la specialità del lavoro pubblico.

Il lavoro autonomo e parasubordinato

Giuseppe Antonio Recchia
2021-01-01

Abstract

Il tema dell’utilizzo dei rapporti di lavoro autonomo e parasubordinato da parte delle pubbliche amministrazioni è diventato nel corso degli ultimi due decenni particolarmente sensibile per il legislatore, allo scopo di correggere due tendenze registrate nella prassi. Da un lato, il progressivo svuotamento dei ruoli organici dovuto ai vincoli imposti al turn-over del personale a tempo indeterminato ha fatto osservare nel settore pubblico un massiccio ricorso a forme di impiego flessibile (subordinate e autonome), garantito dalla “immunità” della impossibilità della trasformazione a tempo indeterminato (stante il divieto di cui all’art. 36, d.lgs. n. 165/2001). Dall’altro, un tale canale “alternativo” di reclutamento, foriero di comprensibili aspettative di stabilizzazione da parte dei lavoratori interessati, si è frequentemente contraddistinto per la mancanza di una effettiva capacità di selezione (e talvolta con veri e propri atteggiamenti clientelari), con pesanti ricadute non solo sugli equilibri finanziari degli Enti ma anche sulla qualità dell’azione amministrativa. La complessa stratificazione normativa, che l'A. ricostruisce, ha determinato l’importante affermazione del principio per cui le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali col migliore e più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui dispongono. Si tratta di una prospettiva che comporta, sotto altro profilo, una distanza sempre più evidente dall’assetto regolativo del settore privato, dove nello stesso arco temporale, dapprima con il lavoro a progetto e poi con le collaborazioni etero-organizzate, si è invece registrato un crescente interesse alle tutele da destinare ai lavoratori “parasubordinati”. Anche in questo, deve segnalarsi la specialità del lavoro pubblico.
2021
9788891651358
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