L’intero nostro sistema poggia sull’idea della natura legale del potere. Siamo, infatti, abituati a pensare che le ipotesi derogatorie siano limitate a circostanze eccezionali ovvero ad ipotesi limitate e fisiologiche. Se si concentra l’attenzione sul momento della decisione, ed in particolare di quella che coinvolge potere discrezionale, si può concludere in senso opposto. Infatti, sostanzialmente tutte le spiegazioni del potere discrezionale prevedono che l’amministrazione pubblica scelga tra alternative valide e, quindi, integri la legge. In particolare, le spiegazioni correnti della decisione discrezionale contengono sempre una valutazione non basata su parametri legali. Si pone, quindi, il problema dell’integrazione della legge. Quest’integrazione opera, almeno in parte, al di fuori della legge e, quindi, il potere, per la parte non regolata dalla legge, si presenta come violenza. Infatti, le spiegazioni dell’integrazione operano tutte proponendo elementi di integrazione che (i) o sono elementi di politica del diritto ed attengono al miglior diritto possibile, oppure (ii) enfatizzano elementi che sono già nella legge e che, come tali, sono inutili per integrarla nel caso in cui essa propone più alternative ovvero (iii) non solo non risolvono il problema ma pongono elementi molto pericolosi, che preludono alla dittatura della maggioranza. Tutto ciò pone il problema dello Stato di diritto - stante che in esso è la pretesa che il potere pubblico sia esercitato su base legale - e, in parte anche del Rule of Law (pur con il fatto che in alcune sue versioni esso appare come richiamo a principi giuridici fondamentali, che costituiscono elemento di giudizio della legge formale e, in questa prospettiva, costituisce un modello interessante di integrazione). Il lavoro propone una diversa idea della discrezionalità, ricostruendo l’intero sistema dei poteri pubblici come funzionale al godimento dei diritti individuali e quindi, l’interesse pubblico come funzione della massimizzazione del loro godimento. In particolare, si mette in luce come la decisione discrezionale sia un tipo di decisione che si collega profondamente con la sovranità. La costruzione dello Stato contemporaneoè avvenuta attraverso l’attrazione alla legge formale di una notevole area di decisione sovrana. Tuttavia, l’area non attratta dal diritto continua a partecipare della sovranità. In questa prospettiva, è necessario discutere della sovranità. Il testo propone di partire dall’attribuzione della sovranità al popolo, contenuta nelle Costituzioni moderne, e del riconoscimento dei diritti inviolabili. In particolare, queste due regole del diritto positivo importano che il potere sovrano non è attribuito allo Stato, o in genere all’autorità, e che il diritto dettato dall’autorità attraverso la legge trova un confine in un dato giuridico (i diritti inviolabili) che esiste indipendentemente dal diritto dell’autorità. Tant’è che è riconosciuto in Costituzione e non creato da questa. Ne consegue che esistono regole giuridiche - ma non legali - che riempiono lo spazio lasciato alla decisione discrezionale e la sottraggono dalla pura volizione. In questa prospettiva la decisione smette di essere violenza, perché è regolata dal diritto che si colloca nel versante della sovranità e non al di fuori di essa.

L’ordinaria violenza della decisione amministrativa nello Stato di diritto

Perfetti, Luca Raffaello
2017-01-01

Abstract

L’intero nostro sistema poggia sull’idea della natura legale del potere. Siamo, infatti, abituati a pensare che le ipotesi derogatorie siano limitate a circostanze eccezionali ovvero ad ipotesi limitate e fisiologiche. Se si concentra l’attenzione sul momento della decisione, ed in particolare di quella che coinvolge potere discrezionale, si può concludere in senso opposto. Infatti, sostanzialmente tutte le spiegazioni del potere discrezionale prevedono che l’amministrazione pubblica scelga tra alternative valide e, quindi, integri la legge. In particolare, le spiegazioni correnti della decisione discrezionale contengono sempre una valutazione non basata su parametri legali. Si pone, quindi, il problema dell’integrazione della legge. Quest’integrazione opera, almeno in parte, al di fuori della legge e, quindi, il potere, per la parte non regolata dalla legge, si presenta come violenza. Infatti, le spiegazioni dell’integrazione operano tutte proponendo elementi di integrazione che (i) o sono elementi di politica del diritto ed attengono al miglior diritto possibile, oppure (ii) enfatizzano elementi che sono già nella legge e che, come tali, sono inutili per integrarla nel caso in cui essa propone più alternative ovvero (iii) non solo non risolvono il problema ma pongono elementi molto pericolosi, che preludono alla dittatura della maggioranza. Tutto ciò pone il problema dello Stato di diritto - stante che in esso è la pretesa che il potere pubblico sia esercitato su base legale - e, in parte anche del Rule of Law (pur con il fatto che in alcune sue versioni esso appare come richiamo a principi giuridici fondamentali, che costituiscono elemento di giudizio della legge formale e, in questa prospettiva, costituisce un modello interessante di integrazione). Il lavoro propone una diversa idea della discrezionalità, ricostruendo l’intero sistema dei poteri pubblici come funzionale al godimento dei diritti individuali e quindi, l’interesse pubblico come funzione della massimizzazione del loro godimento. In particolare, si mette in luce come la decisione discrezionale sia un tipo di decisione che si collega profondamente con la sovranità. La costruzione dello Stato contemporaneoè avvenuta attraverso l’attrazione alla legge formale di una notevole area di decisione sovrana. Tuttavia, l’area non attratta dal diritto continua a partecipare della sovranità. In questa prospettiva, è necessario discutere della sovranità. Il testo propone di partire dall’attribuzione della sovranità al popolo, contenuta nelle Costituzioni moderne, e del riconoscimento dei diritti inviolabili. In particolare, queste due regole del diritto positivo importano che il potere sovrano non è attribuito allo Stato, o in genere all’autorità, e che il diritto dettato dall’autorità attraverso la legge trova un confine in un dato giuridico (i diritti inviolabili) che esiste indipendentemente dal diritto dell’autorità. Tant’è che è riconosciuto in Costituzione e non creato da questa. Ne consegue che esistono regole giuridiche - ma non legali - che riempiono lo spazio lasciato alla decisione discrezionale e la sottraggono dalla pura volizione. In questa prospettiva la decisione smette di essere violenza, perché è regolata dal diritto che si colloca nel versante della sovranità e non al di fuori di essa.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/362829
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