Nell’analisi del tema associativo, e nei recenti riflessi nella disciplina delle persone giuridiche, sembra emergere l’idea del fenomeno associativo nei termini di sovrastruttura, di un ordine cioè statico che privilegi la distruttiva – in apparenza costruttiva – prevalenza di una singola visione dell’intero, apparentemente rassicurante, ma dogmaticamente e metodologicamente inesatta. L’Autore propone un punto di vista differente, l’auspicio a liberarsi dalla ontologia costringente, rinunciare alla pulsione tassativizzante e semplificante della metafisica del soggetto, ed alla infatuazione formalistica e assiomatica della «forma buona», e scegliere invece la provvisorietà del modello, valido, semmai, solo lì, in quel particolare thema decisorio. Se attraverso la regola costitutiva (o deontica) la struttura c’è, se ci fa ancora comodo pensare alla associazione come struttura, piuttosto che come etichetta o segnaposto, occorre dunque intendersi, almeno sul piano dei principi: la struttura a cui l’associazione fa riferimento, non può che indicare una tipizzazione dei ruoli, appena un qualcosa in più del concorso, quel di più che non può mancare e che segna la presenza/assenza dell’uno piuttosto che dell’altro: se la forma minima può levitare e contenere il di più, la prospettiva ampia – di cui la sentenza si fa involontariamente portatrice – resta valida troppe poche volte, e finisce per fabbricare un punto di vista selettivo e aprioristicamente dato, incapace di confrontarsi con la complessità e varietà del reale. Come dire: se la struttura c’è, ha tuttavia scelto di rimanere assente.

La struttura assente. La responsabilità della persona giuridica fra amministratore di fatto e associazione per delinquere

Muscatiello Vincenzo Bruno
2020-01-01

Abstract

Nell’analisi del tema associativo, e nei recenti riflessi nella disciplina delle persone giuridiche, sembra emergere l’idea del fenomeno associativo nei termini di sovrastruttura, di un ordine cioè statico che privilegi la distruttiva – in apparenza costruttiva – prevalenza di una singola visione dell’intero, apparentemente rassicurante, ma dogmaticamente e metodologicamente inesatta. L’Autore propone un punto di vista differente, l’auspicio a liberarsi dalla ontologia costringente, rinunciare alla pulsione tassativizzante e semplificante della metafisica del soggetto, ed alla infatuazione formalistica e assiomatica della «forma buona», e scegliere invece la provvisorietà del modello, valido, semmai, solo lì, in quel particolare thema decisorio. Se attraverso la regola costitutiva (o deontica) la struttura c’è, se ci fa ancora comodo pensare alla associazione come struttura, piuttosto che come etichetta o segnaposto, occorre dunque intendersi, almeno sul piano dei principi: la struttura a cui l’associazione fa riferimento, non può che indicare una tipizzazione dei ruoli, appena un qualcosa in più del concorso, quel di più che non può mancare e che segna la presenza/assenza dell’uno piuttosto che dell’altro: se la forma minima può levitare e contenere il di più, la prospettiva ampia – di cui la sentenza si fa involontariamente portatrice – resta valida troppe poche volte, e finisce per fabbricare un punto di vista selettivo e aprioristicamente dato, incapace di confrontarsi con la complessità e varietà del reale. Come dire: se la struttura c’è, ha tuttavia scelto di rimanere assente.
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