Nel catalogo di assenze che a lungo ha caratterizzato la lettura del Sud d’Italia in età moderna, la città ha occupato un posto centrale. Questa visione è stata messa in discussione da una storiografia recente che ha riscoperto un “Mezzogiorno delle città”, con proprie dinamiche politiche ed economiche, ricchezza sociale, patriziati, retoriche e cerimoniali. In questa nuova ottica, finisce anche per sfumare la distinzione dei luoghi insediativi meridionali fra infeudati e demaniali: i primi, proni al volere capriccioso e prepotente del feudatario di turno; i secondi, più ricchi e articolati al proprio interno, meno distanti dalla gloriosa città erede del comune italiano. Sotto l’etichetta di “città feudale” si agitano in effetti realtà diverse e complesse. In questa come in quella regia, la vita politica non si risolve tutta dentro il reggimento cittadino, ma si snoda fra arene plurali, dai bordi frastagliati, che travalicano le mura urbane e ospitano figure di taglio e scala diversa. Il feudatario è una di queste; talvolta la più ingombrante, ma non la sola. Con forme e modalità volta a volta differenti, la comunità urbana si articola per fazioni, grappoli di fedeltà, «parziali» del barone, «aderenti» del vescovo, «zelanti cittadini», clero capitolare schierato ora col reggimento cittadino ora col vescovo, patriziato, governatore, cassiere, uomini del viceré: tutti contribuiscono a vario titolo e in modi vari a movimentare lo scenario. Gli studi di caso relativi a tre centri pugliesi - Ostuni sotto gli Zevallos, Nardò sotto gli Acquaviva, Altamura sotto i Farnese – ne sono una esemplificazione. In ognuno di essi, in un gioco di ruoli sempre mutevole e spesso imprevedibile, prende forma una sorta di “costituzione materiale” mai risolta, ma in grado di reggere la città e spiegarne le dinamiche reali.

Il feudatario nelle “quasi-città” della Puglia di età moderna

annastella carrino
2019-01-01

Abstract

Nel catalogo di assenze che a lungo ha caratterizzato la lettura del Sud d’Italia in età moderna, la città ha occupato un posto centrale. Questa visione è stata messa in discussione da una storiografia recente che ha riscoperto un “Mezzogiorno delle città”, con proprie dinamiche politiche ed economiche, ricchezza sociale, patriziati, retoriche e cerimoniali. In questa nuova ottica, finisce anche per sfumare la distinzione dei luoghi insediativi meridionali fra infeudati e demaniali: i primi, proni al volere capriccioso e prepotente del feudatario di turno; i secondi, più ricchi e articolati al proprio interno, meno distanti dalla gloriosa città erede del comune italiano. Sotto l’etichetta di “città feudale” si agitano in effetti realtà diverse e complesse. In questa come in quella regia, la vita politica non si risolve tutta dentro il reggimento cittadino, ma si snoda fra arene plurali, dai bordi frastagliati, che travalicano le mura urbane e ospitano figure di taglio e scala diversa. Il feudatario è una di queste; talvolta la più ingombrante, ma non la sola. Con forme e modalità volta a volta differenti, la comunità urbana si articola per fazioni, grappoli di fedeltà, «parziali» del barone, «aderenti» del vescovo, «zelanti cittadini», clero capitolare schierato ora col reggimento cittadino ora col vescovo, patriziato, governatore, cassiere, uomini del viceré: tutti contribuiscono a vario titolo e in modi vari a movimentare lo scenario. Gli studi di caso relativi a tre centri pugliesi - Ostuni sotto gli Zevallos, Nardò sotto gli Acquaviva, Altamura sotto i Farnese – ne sono una esemplificazione. In ognuno di essi, in un gioco di ruoli sempre mutevole e spesso imprevedibile, prende forma una sorta di “costituzione materiale” mai risolta, ma in grado di reggere la città e spiegarne le dinamiche reali.
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