Il 23 dicembre del 2018, a Vienna è stata battuta all’asta una Lucrezia attribuita ad Artemisia Gentileschi. Il dipinto proveniva dalla raccolta Jatta a Ruvo di Puglia dove era entrato in modo probabilmente contestuale alla grande quantità di reperti accumulati dalla famiglia sin dagli anni Venti del XIX secolo, cioè da quando Giovanni seniore Jatta aveva preso a raccoglierli nel suo palazzo di vico Nilo a Napoli. Indicatore del gusto espresso da una certa colta borghesia latifondista attiva nel meridione italiano dell’Ottocento, il quadro Jatta può essere considerato rappresentativo di una stagione di cui si ha contezza soprattutto attraverso le carte legate al rischio delle dispersioni post-unitarie, poi rilanciate dalle cronache giornalistiche degli inizi del XX secolo, collegate ai primi documentati tentativi di alienazione. La collezione Jatta, dunque comprensiva di un’importante quadreria, pone la cittadina di Ruvo in una luce diversa rispetto agli altri centri pugliesi – si pensi a Ceglie del Campo, Canosa, Egnazia-, spesso identificati come meri luoghi di approvvigionamento per le raccolte reali, o per quelle dei membri della corte, in virtù della straordinaria quantità e qualità dei reperti archeologici presenti nel sottosuolo. Proprio in ragione di questa differenza, non stupisce che a Ruvo siano ripetutamente passati, tra Ottocento e Novecento, diversi esponenti della connoisseurship internazionale, in qualche modo da ritenersi eredi dei grandtourists. Tra questi, si riconosce in particolare il collezionista americano Edward Perry Warren, a sua volta amico di Antonio Jatta e, soprattutto, di Bernard Berenson che, ricordiamolo, giunse in Puglia per la prima volta nel 1897.
Non solo «stoviglie» in Terra di Bari. Il collezionismo Jatta: consistenza e strategie tra casa e museo
Andrea Leonardi
2020-01-01
Abstract
Il 23 dicembre del 2018, a Vienna è stata battuta all’asta una Lucrezia attribuita ad Artemisia Gentileschi. Il dipinto proveniva dalla raccolta Jatta a Ruvo di Puglia dove era entrato in modo probabilmente contestuale alla grande quantità di reperti accumulati dalla famiglia sin dagli anni Venti del XIX secolo, cioè da quando Giovanni seniore Jatta aveva preso a raccoglierli nel suo palazzo di vico Nilo a Napoli. Indicatore del gusto espresso da una certa colta borghesia latifondista attiva nel meridione italiano dell’Ottocento, il quadro Jatta può essere considerato rappresentativo di una stagione di cui si ha contezza soprattutto attraverso le carte legate al rischio delle dispersioni post-unitarie, poi rilanciate dalle cronache giornalistiche degli inizi del XX secolo, collegate ai primi documentati tentativi di alienazione. La collezione Jatta, dunque comprensiva di un’importante quadreria, pone la cittadina di Ruvo in una luce diversa rispetto agli altri centri pugliesi – si pensi a Ceglie del Campo, Canosa, Egnazia-, spesso identificati come meri luoghi di approvvigionamento per le raccolte reali, o per quelle dei membri della corte, in virtù della straordinaria quantità e qualità dei reperti archeologici presenti nel sottosuolo. Proprio in ragione di questa differenza, non stupisce che a Ruvo siano ripetutamente passati, tra Ottocento e Novecento, diversi esponenti della connoisseurship internazionale, in qualche modo da ritenersi eredi dei grandtourists. Tra questi, si riconosce in particolare il collezionista americano Edward Perry Warren, a sua volta amico di Antonio Jatta e, soprattutto, di Bernard Berenson che, ricordiamolo, giunse in Puglia per la prima volta nel 1897.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.