Nel senso comune c’è una strada che collega Las Vegas a Wall Street: l’associazione tra espansione del gioco d’azzardo e crisi economica successiva al crollo del 2008 è salda nel tentativo di spiegare il consolidamento globale e nazionale dell’industria del gambling negli ultimi dieci anni. Gli osservatori sottolineano un ipotetico nesso causale tra impoverimento e scommessa, che implica nella domanda di gioco l’auspicio di una fonte di integrazione al reddito per colmare le carenze indotte dalla Grande Recessione. Il gioco come “oppio della miseria”, secondo la nota definizione di Balzac, che rivaluta l’azzardo come scorciatoia per integrare il reddito eroso o modificare una condizione economica incrostata nelle sabbie mobili della crescita bloccata. Contestualmente, però, nel dibattito pubblico la crisi stessa è spesso raccontata come l’esito inevitabile di una serie di comportamenti finanziari omologhi al gioco d’azzardo per orizzonti e dinamiche operative. Le decisioni dei mercati finanziari globali, infatti, sembrano aver smarrito la cura del limite tra investimento e scommessa, meritando l’etichetta di “casino globale” (Hassoun 2005). “La grande scommessa”, titolo italiano del film The Big Short (2015) diretto da Adam McKay, racconto di eventi realmente accaduti nelle settimane prima del fallimento della Lehman Brothers, restituisce al meglio la fondatezza dell’assonanza tra finanza e azzardo nell’immaginario collettivo. E’ la crisi che spinge all’azzardo? O, forse, è l’azzardo che ha prodotto la crisi? In questo paper si compie una rassegna delle argomentazioni che aiutano a decostruire il vincolo diretto tra recessione e aumento del consumo di gioco d’azzardo, provando a ribaltare il nesso causale per comprendere invece quanto la pratica dell’azzardo di massa sia radicata nella stessa sensibilità culturale fondata sull’esposizione al rischio che ha prodotto il collasso finanziario.

La grande scommessa. Il gambling e la crisi del 2008

Sabino Di Chio
2018-01-01

Abstract

Nel senso comune c’è una strada che collega Las Vegas a Wall Street: l’associazione tra espansione del gioco d’azzardo e crisi economica successiva al crollo del 2008 è salda nel tentativo di spiegare il consolidamento globale e nazionale dell’industria del gambling negli ultimi dieci anni. Gli osservatori sottolineano un ipotetico nesso causale tra impoverimento e scommessa, che implica nella domanda di gioco l’auspicio di una fonte di integrazione al reddito per colmare le carenze indotte dalla Grande Recessione. Il gioco come “oppio della miseria”, secondo la nota definizione di Balzac, che rivaluta l’azzardo come scorciatoia per integrare il reddito eroso o modificare una condizione economica incrostata nelle sabbie mobili della crescita bloccata. Contestualmente, però, nel dibattito pubblico la crisi stessa è spesso raccontata come l’esito inevitabile di una serie di comportamenti finanziari omologhi al gioco d’azzardo per orizzonti e dinamiche operative. Le decisioni dei mercati finanziari globali, infatti, sembrano aver smarrito la cura del limite tra investimento e scommessa, meritando l’etichetta di “casino globale” (Hassoun 2005). “La grande scommessa”, titolo italiano del film The Big Short (2015) diretto da Adam McKay, racconto di eventi realmente accaduti nelle settimane prima del fallimento della Lehman Brothers, restituisce al meglio la fondatezza dell’assonanza tra finanza e azzardo nell’immaginario collettivo. E’ la crisi che spinge all’azzardo? O, forse, è l’azzardo che ha prodotto la crisi? In questo paper si compie una rassegna delle argomentazioni che aiutano a decostruire il vincolo diretto tra recessione e aumento del consumo di gioco d’azzardo, provando a ribaltare il nesso causale per comprendere invece quanto la pratica dell’azzardo di massa sia radicata nella stessa sensibilità culturale fondata sull’esposizione al rischio che ha prodotto il collasso finanziario.
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