L’inedito ed elegante codice miniato London, British Library, King’s 322, è collegato, nel catalogo della Biblioteca nazionale del Regno Unito, in maniera dubitativa alla committenza del principe guerriero umanista e mecenate Andrea Matteo III Acquaviva d’Aragona, di cui è noto l’interesse per l’arte, la musica ma soprattutto le lettere, e che fu committente e collezionista di splendidi manoscritti miniati per la sua biblioteca personale, greca e latina. Sulla base dell’accuratissimo esame delle componenti materiali, grafiche e perigrafiche del pregevole manufatto, operato da Marco Antonio Siciliani, è stata esclusa la committenza dell’Acquaviva e formulata una proposta di datazione cronica che copre l’arco di tempo compreso tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del XV secolo e topica, che individua Milano, come area di allestimento dello stesso. Ipotesi che si accorda con la proposta di George f. Warner e Julius P. Gilson, che hanno riconosciuto nelle miniature del codice londinese l’opera del Maestro delle Vitae imperatorum, il miniatore preferito di Maria Filippo Visconti e della sua corte o di un membro della sua cerchia. Nel contributo prospetto un’altra ipotesi attributiva, evidenziando i possibili ‘legami’ del pregevole manoscritto miniato con Giosia Acquaviva, duca d’Atri e signore di Teramo, nonno del principe umanista Andrea Matteo III. Gioia intrattenne stretti rapporti negli anni Trenta del XV secolo con il duca di Milano Filippo Maria Visconti e la sua corte, testimoniati tra l’altro dal prezioso carteggio pubblicato da Francesco Savini (1846-1940). In anni di grande turbolenza politico-militare, durante i quali famiglie d’antico lignaggio o di recente fortuna mercantile cercavano di imporre la loro signoria sulle varie autonomie cittadine della regione, approfittando delle contese dinastiche seguite alla morte di Carlo III di Durazzo e della concorrenziale convergenza di interessi da parte dello Stato della Chiesa e del ducato di Milano sui confini settentrionali del regno di Napoli, Giosia Acquaviva divenuto fautore degli Aragonesi nella lotta tra Renato d’Angiò ed Alfonso d’Aragona, nel 1435 venne coinvolto nella disfatta inflitta dai Genovesi alla flotta aragonese nelle acque di Ponza. Tradotto con gli altri prigionieri a Milano, fu consegnato nelle mani di Filippo Maria Visconti. Giosia nel periodo di «prigionia onorevole» che trascorse presso la corte viscontea rinsaldò i rapporti con il duca di Milano e poté conoscere personaggi di primo piano del suo entourage. Liberato contemporaneamente al re Alfonso nello scorcio del medesimo anno, tornato in Abruzzo, come fautore degli Aragonesi nel febbraio 1436 ebbe danaro da Alfonso per molestare Iacopo Caldora, di cui era parente, mentre dal duca di Milano Filippo Maria Visconti nel 1437 veniva nominato Luogotenente generale nell’Abruzzo ultra e citra e nella marca. Dal diploma ducale si evince l’alta stima del Visconti per Giosia, del quale viene esaltata «l’industria, la previdenza, la magnanimità, la prudenza e gravità in ogni affare, unite alla lealtà, benevolenza ed affetto verso la sua persona». Il duca di Milano affida così all’Acquaviva «ogni suo negozio, per quanto arduo e importante, certo che egli lo condurrà a termine con sagacia e diligenza, come suo negozio personale»33, in primis, come si evince dal carteggio pubblicato da Savini, quello di intraprendere una spedizione militare contro Francesco Sforza che stava estendendo il suo potere nelle Marche. Vorrei infine ricordare l’attribuzione a Giosia, da parte di Francesca Manzari, della committenza dello smembrato e disperso Antifonario Acquaviva, di cui lei ha studiato alcuni fogli e ritagli conservati in varie collezioni italiane ed estere; forse non è privo di interesse evidenziare che la studiosa abbia visto nell’apparato miniaturistico l’influenza della cultura lombarda attraverso la mediazione della cultura veneta o bolognese. Su di essi, inoltre, è presente il blasone più antico degli Acquaviva, il leone rampante, al centro del margine inferiore o laterale o nell’occhiello dell’iniziale decorata, del tutto identico a quello che ha impressionato in negativo il verso della prima carta del codice londinese King’s 322.
«Giochi di pazienza». Il ms. London, British Library, King’s 322. Un codice acquaviviano?
Caterina Lavarra
2017-01-01
Abstract
L’inedito ed elegante codice miniato London, British Library, King’s 322, è collegato, nel catalogo della Biblioteca nazionale del Regno Unito, in maniera dubitativa alla committenza del principe guerriero umanista e mecenate Andrea Matteo III Acquaviva d’Aragona, di cui è noto l’interesse per l’arte, la musica ma soprattutto le lettere, e che fu committente e collezionista di splendidi manoscritti miniati per la sua biblioteca personale, greca e latina. Sulla base dell’accuratissimo esame delle componenti materiali, grafiche e perigrafiche del pregevole manufatto, operato da Marco Antonio Siciliani, è stata esclusa la committenza dell’Acquaviva e formulata una proposta di datazione cronica che copre l’arco di tempo compreso tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del XV secolo e topica, che individua Milano, come area di allestimento dello stesso. Ipotesi che si accorda con la proposta di George f. Warner e Julius P. Gilson, che hanno riconosciuto nelle miniature del codice londinese l’opera del Maestro delle Vitae imperatorum, il miniatore preferito di Maria Filippo Visconti e della sua corte o di un membro della sua cerchia. Nel contributo prospetto un’altra ipotesi attributiva, evidenziando i possibili ‘legami’ del pregevole manoscritto miniato con Giosia Acquaviva, duca d’Atri e signore di Teramo, nonno del principe umanista Andrea Matteo III. Gioia intrattenne stretti rapporti negli anni Trenta del XV secolo con il duca di Milano Filippo Maria Visconti e la sua corte, testimoniati tra l’altro dal prezioso carteggio pubblicato da Francesco Savini (1846-1940). In anni di grande turbolenza politico-militare, durante i quali famiglie d’antico lignaggio o di recente fortuna mercantile cercavano di imporre la loro signoria sulle varie autonomie cittadine della regione, approfittando delle contese dinastiche seguite alla morte di Carlo III di Durazzo e della concorrenziale convergenza di interessi da parte dello Stato della Chiesa e del ducato di Milano sui confini settentrionali del regno di Napoli, Giosia Acquaviva divenuto fautore degli Aragonesi nella lotta tra Renato d’Angiò ed Alfonso d’Aragona, nel 1435 venne coinvolto nella disfatta inflitta dai Genovesi alla flotta aragonese nelle acque di Ponza. Tradotto con gli altri prigionieri a Milano, fu consegnato nelle mani di Filippo Maria Visconti. Giosia nel periodo di «prigionia onorevole» che trascorse presso la corte viscontea rinsaldò i rapporti con il duca di Milano e poté conoscere personaggi di primo piano del suo entourage. Liberato contemporaneamente al re Alfonso nello scorcio del medesimo anno, tornato in Abruzzo, come fautore degli Aragonesi nel febbraio 1436 ebbe danaro da Alfonso per molestare Iacopo Caldora, di cui era parente, mentre dal duca di Milano Filippo Maria Visconti nel 1437 veniva nominato Luogotenente generale nell’Abruzzo ultra e citra e nella marca. Dal diploma ducale si evince l’alta stima del Visconti per Giosia, del quale viene esaltata «l’industria, la previdenza, la magnanimità, la prudenza e gravità in ogni affare, unite alla lealtà, benevolenza ed affetto verso la sua persona». Il duca di Milano affida così all’Acquaviva «ogni suo negozio, per quanto arduo e importante, certo che egli lo condurrà a termine con sagacia e diligenza, come suo negozio personale»33, in primis, come si evince dal carteggio pubblicato da Savini, quello di intraprendere una spedizione militare contro Francesco Sforza che stava estendendo il suo potere nelle Marche. Vorrei infine ricordare l’attribuzione a Giosia, da parte di Francesca Manzari, della committenza dello smembrato e disperso Antifonario Acquaviva, di cui lei ha studiato alcuni fogli e ritagli conservati in varie collezioni italiane ed estere; forse non è privo di interesse evidenziare che la studiosa abbia visto nell’apparato miniaturistico l’influenza della cultura lombarda attraverso la mediazione della cultura veneta o bolognese. Su di essi, inoltre, è presente il blasone più antico degli Acquaviva, il leone rampante, al centro del margine inferiore o laterale o nell’occhiello dell’iniziale decorata, del tutto identico a quello che ha impressionato in negativo il verso della prima carta del codice londinese King’s 322.File | Dimensione | Formato | |
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