Il lavoro che qui presento risponde, innanzi tutto, all’esigenza di tirare le fila (e, per quanto possibile, di mettere in ordine la ridda di tasselli raccolti nell’arco) di un processo di ricerca (iniziato nel 2001 presso il Rotterdam Institute of Law and Economics, quando, sotto la guida di Roger Van den Berg, muovevo i primi passi sulle controverse tematiche sottese alla quantificazione dei damages awards) volto ad analizzare l’incidenza della natura punitivo/sanzionatoria degli strumenti rimediali (quali i punitive e i disgorgement damages) tanto nell’ambito del tort law quanto in quello del contract law. Per altro verso, aspira a chiudere il cerchio innescato da una delle preziose conversazioni tenute, durante il mio periodo di studio come official visiting researcher presso la Yale Law School, con Guido Calabresi circa la legittimità di tali strumenti rimediali nell’ambito dei civil proceedings e, più in particolare, sulla maggiore predisposizione dello strumento dei disgorgement damages ad operare –in virtù della sua natura para-sanzionatoria— come rimedio da inadempimento contrattuale. Del resto, proprio la caratterizzazione quasi punitive di tale istituto rimediale parrebbe prospettarne l’applicabilità in frangenti ove l’irrogazione del full punishment (vero discrimen tra le due categorie rimediali in oggetto) risulta impensabile. Prova ne sia il fatto che i disgorgement damages, prestandosi ad un’estensione comunque limitata in termini di quantificazione (ovvero costituendo un indice di commisurazione del cd. full punishment caro ai punitive damages), non solo circoscriverebbero la discrezionalità della corte (con tutti i connessi rischi di capricious over-punishment), ma, per di più, proibirebbero la retention di un profitto individuale frutto di un illecito. Proprio queste sfumature teleologiche hanno generato, negli ambienti di common law, non poche perplessità che meritano di essere approfondite alla luce dei differenti approcci teorici. Sulla scorta di tali considerazioni, poi, matura una sfida concettuale (di questo si tratta, in fin dei conti) che conviene raccogliere avvalendosi delle nuove indicazioni metodologiche, alimentate, appunto, dall’analisi comparativa: ossia, intraprendere una ricognizione dalla marcata impronta omologativa con l’esperienza giuridica italiana al fine di fare chiarezza circa la possibilità che lo strumento della cd. retroversione degli utili (ex artt. 125 C.P.I. e 158 l.a.) sia in grado di ricoprire il ruolo di legal response che nei sistemi di common law viene riconosciuto sia ai disgorgement che ai punitive damages. In questa prospettiva, sarà opportuno prendere le mosse dalla considerazione che fra i loci classici della comparazione figura, con grande evidenza, la contrapposizione (per ciò che concerne il differente approccio alla quantificazione del danno) tra le soluzioni rimediali elaborate nella realtà giuridica nostrana (che, tradizionalmente, al pari della maggioranza dei sistemi di civil law, articolandosi su una natura prevalentemente compensatoria, esclude qualsivoglia possibilità di riconoscere diritto di cittadinanza ad una funzione puntivo/sanzionatoria) e quelle adottate nella realtà di common law (ove, reificandosi il principio in forza del quale a nessuno dovrebbe essere concessa la possibilità di trarre giovamento dal compimento di una condotta illecita, l’impiego di strumenti rimediali cui sia ascrivibile una rilevante natura punitivo/sanzionatoria è divenuto un ‘must’ irrinunciabile al fine di ovviare alla zona d’ombra prospettata dalla teoria gius-economica classica in cui il fine –realizzare, anche a scapito della certezza e della stabilità degli scambi economici, un rilevante profitto, frutto tanto di una migliore allocazione del bene in capo al soggetto che gli attribuisce il valore più elevato quanto di una completa internalizzazione dei costi proiettati all’esterno dall’inadempimento— sembrerebbe giustificare i mezzi). Non è detto, però, che le certezze di ieri, con tutto il peso della loro autorità, segnino indefettibilmente il solco degli sviluppi odierni, meno ancora di quelli a venire. Dando per scontato che l’ansia di novità non è meno censurabile del misoneismo preconcetto, il delinearsi di un quadro che si allarga a sollecitazioni inattese, ma pur sempre radicate su una fondamentale domanda di giustizia a misura degli interessi concretamente coinvolti, invita ad una riflessione capace, se del caso, di sottrarsi agli schemi usuali: aperta, quindi, a rielaborazioni di matrice dottrinale/giurisprudenziale articolate sulle modifiche introdotte con il decreto enforcement (ovvero il decreto legislativo del 16 marzo 2006, n. 140, recante il recepimento della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale) alla nuova prospettiva rimediale della retroversione degli utili. Più in chiaro: l’azionabilità di tale strumento rimediale risulta completamente metabolizzata e si pone come passaggio necessario dell’elaborazione da compiersi, ad opera del giudice, per la determinazione del quantum del risarcimento. Nella ‘normale’ dinamica dell’apprezzamento del danno emergente e del lucro cessante, alla stregua della regola generale, viene inserita, con riguardo alla seconda voce, una dimensione affatto innovativa, di carattere eccentrico rispetto al passato. Non più soltanto ciò che non è stato possibile guadagnare in ragione dell’altrui attività illecita, ma anche una misura di computo ritagliata sui proventi che quella stessa attività ha schiuso all’autore della condotta contra legem .

Contratto e nuove frontiere rimediali. Disgorgement v. punitive damages

PARDOLESI, Paolo
2012-01-01

Abstract

Il lavoro che qui presento risponde, innanzi tutto, all’esigenza di tirare le fila (e, per quanto possibile, di mettere in ordine la ridda di tasselli raccolti nell’arco) di un processo di ricerca (iniziato nel 2001 presso il Rotterdam Institute of Law and Economics, quando, sotto la guida di Roger Van den Berg, muovevo i primi passi sulle controverse tematiche sottese alla quantificazione dei damages awards) volto ad analizzare l’incidenza della natura punitivo/sanzionatoria degli strumenti rimediali (quali i punitive e i disgorgement damages) tanto nell’ambito del tort law quanto in quello del contract law. Per altro verso, aspira a chiudere il cerchio innescato da una delle preziose conversazioni tenute, durante il mio periodo di studio come official visiting researcher presso la Yale Law School, con Guido Calabresi circa la legittimità di tali strumenti rimediali nell’ambito dei civil proceedings e, più in particolare, sulla maggiore predisposizione dello strumento dei disgorgement damages ad operare –in virtù della sua natura para-sanzionatoria— come rimedio da inadempimento contrattuale. Del resto, proprio la caratterizzazione quasi punitive di tale istituto rimediale parrebbe prospettarne l’applicabilità in frangenti ove l’irrogazione del full punishment (vero discrimen tra le due categorie rimediali in oggetto) risulta impensabile. Prova ne sia il fatto che i disgorgement damages, prestandosi ad un’estensione comunque limitata in termini di quantificazione (ovvero costituendo un indice di commisurazione del cd. full punishment caro ai punitive damages), non solo circoscriverebbero la discrezionalità della corte (con tutti i connessi rischi di capricious over-punishment), ma, per di più, proibirebbero la retention di un profitto individuale frutto di un illecito. Proprio queste sfumature teleologiche hanno generato, negli ambienti di common law, non poche perplessità che meritano di essere approfondite alla luce dei differenti approcci teorici. Sulla scorta di tali considerazioni, poi, matura una sfida concettuale (di questo si tratta, in fin dei conti) che conviene raccogliere avvalendosi delle nuove indicazioni metodologiche, alimentate, appunto, dall’analisi comparativa: ossia, intraprendere una ricognizione dalla marcata impronta omologativa con l’esperienza giuridica italiana al fine di fare chiarezza circa la possibilità che lo strumento della cd. retroversione degli utili (ex artt. 125 C.P.I. e 158 l.a.) sia in grado di ricoprire il ruolo di legal response che nei sistemi di common law viene riconosciuto sia ai disgorgement che ai punitive damages. In questa prospettiva, sarà opportuno prendere le mosse dalla considerazione che fra i loci classici della comparazione figura, con grande evidenza, la contrapposizione (per ciò che concerne il differente approccio alla quantificazione del danno) tra le soluzioni rimediali elaborate nella realtà giuridica nostrana (che, tradizionalmente, al pari della maggioranza dei sistemi di civil law, articolandosi su una natura prevalentemente compensatoria, esclude qualsivoglia possibilità di riconoscere diritto di cittadinanza ad una funzione puntivo/sanzionatoria) e quelle adottate nella realtà di common law (ove, reificandosi il principio in forza del quale a nessuno dovrebbe essere concessa la possibilità di trarre giovamento dal compimento di una condotta illecita, l’impiego di strumenti rimediali cui sia ascrivibile una rilevante natura punitivo/sanzionatoria è divenuto un ‘must’ irrinunciabile al fine di ovviare alla zona d’ombra prospettata dalla teoria gius-economica classica in cui il fine –realizzare, anche a scapito della certezza e della stabilità degli scambi economici, un rilevante profitto, frutto tanto di una migliore allocazione del bene in capo al soggetto che gli attribuisce il valore più elevato quanto di una completa internalizzazione dei costi proiettati all’esterno dall’inadempimento— sembrerebbe giustificare i mezzi). Non è detto, però, che le certezze di ieri, con tutto il peso della loro autorità, segnino indefettibilmente il solco degli sviluppi odierni, meno ancora di quelli a venire. Dando per scontato che l’ansia di novità non è meno censurabile del misoneismo preconcetto, il delinearsi di un quadro che si allarga a sollecitazioni inattese, ma pur sempre radicate su una fondamentale domanda di giustizia a misura degli interessi concretamente coinvolti, invita ad una riflessione capace, se del caso, di sottrarsi agli schemi usuali: aperta, quindi, a rielaborazioni di matrice dottrinale/giurisprudenziale articolate sulle modifiche introdotte con il decreto enforcement (ovvero il decreto legislativo del 16 marzo 2006, n. 140, recante il recepimento della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale) alla nuova prospettiva rimediale della retroversione degli utili. Più in chiaro: l’azionabilità di tale strumento rimediale risulta completamente metabolizzata e si pone come passaggio necessario dell’elaborazione da compiersi, ad opera del giudice, per la determinazione del quantum del risarcimento. Nella ‘normale’ dinamica dell’apprezzamento del danno emergente e del lucro cessante, alla stregua della regola generale, viene inserita, con riguardo alla seconda voce, una dimensione affatto innovativa, di carattere eccentrico rispetto al passato. Non più soltanto ciò che non è stato possibile guadagnare in ragione dell’altrui attività illecita, ma anche una misura di computo ritagliata sui proventi che quella stessa attività ha schiuso all’autore della condotta contra legem .
2012
9788866111276
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