La produzione e la fruizione narrativa, come molte delle attività comunemente attribuite alla creatività adulta, si rivelano trainate dalle regole del congegno ludico. Ché, anzi, tale congegno si incarna per intero, a mio avviso, nel dispositivo narrativo, laddove trova da sempre fulgida esplicazione la costitutiva “realtà semi-immaginaria dell’uomo” (Gorkij, cit. in Morin 1956, p. 204). Come accade nel gioco, tutti i tipi di racconto (orale o scritto, cinematografico o pubblicitario, a fumetti, in videoclip musicale o in videogioco) interrompono il fluire degli eventi ordinari e, nello spazio-tempo fittizio che ritagliano, rompono ogni disgiunzione tra reale e immaginario, immergendo il narratore (fruitore)-giocatore nello speciale divertimento che nasce dalla propensione della mente umana a produrre il “doppio” della rappresentazione e, attraverso proiezioni/identificazioni, a operare la mimesis. Scrive Morin a proposito della speciale e comunemente misconosciuta situazione estetica vissuta da ogni spettatore: “quel che viene nascosto è proprio l’essenziale: voi, noi, io, pur essendo intensamente stregati, posseduti, erotizzati, esaltati, spaventati, amando, soffrendo, godendo, odiando, sappiamo sempre di essere in una poltrona a contemplare uno spettacolo immaginario: viviamo […] in uno stato di doppia coscienza. Questo stato è sì evidente ma non lo percepiamo, non lo analizziamo; perché il paradigma disgiuntivo ci impedisce di concepire l’unità di due coscienze antinomiche in uno stesso essere” (Morin 1977, p. 8). È, per l’appunto, il paradigma disgiuntivo, incapace di cogliere la complessità dei fenomeni, a non permettere di capire l’unità complessa e la complementarietà di ciò che è eterogeneo o antagonista: “Il fenomeno da investigare è esattamente quel fenomeno sorprendente per cui l’illusione di realtà è inseparabile dalla coscienza che essa è realmente un’illusione, senza però che questa coscienza uccida il senso di realtà” (Ibidem). Se, dunque, l’essenza umana del sentire, agire, conoscere, pensare, vivere è nel connubio propulsivo di reale e immaginario, occorre che tale connubio sia messo al centro della cura educativa. E volendo accogliere l’idea che narrare e giocare condividano il medesimo cuore pulsante per l’appunto nell’incessante, creativo e vicendevole tradursi di realtà e immaginazione, occorre puntare su una progettualità pedagogica e didattica che sappia mobilitare e promuovere al contempo le conoscenze-competenze ludiche implicate nell’esperienza del narrare e le conoscenzecompetenze narrative implicate nell’esperienza del giocare.

La narrazione come gioco per scoprire il mondo, sperimentare se stessi, costruire il pensiero

Gallelli Rosa
2018-01-01

Abstract

La produzione e la fruizione narrativa, come molte delle attività comunemente attribuite alla creatività adulta, si rivelano trainate dalle regole del congegno ludico. Ché, anzi, tale congegno si incarna per intero, a mio avviso, nel dispositivo narrativo, laddove trova da sempre fulgida esplicazione la costitutiva “realtà semi-immaginaria dell’uomo” (Gorkij, cit. in Morin 1956, p. 204). Come accade nel gioco, tutti i tipi di racconto (orale o scritto, cinematografico o pubblicitario, a fumetti, in videoclip musicale o in videogioco) interrompono il fluire degli eventi ordinari e, nello spazio-tempo fittizio che ritagliano, rompono ogni disgiunzione tra reale e immaginario, immergendo il narratore (fruitore)-giocatore nello speciale divertimento che nasce dalla propensione della mente umana a produrre il “doppio” della rappresentazione e, attraverso proiezioni/identificazioni, a operare la mimesis. Scrive Morin a proposito della speciale e comunemente misconosciuta situazione estetica vissuta da ogni spettatore: “quel che viene nascosto è proprio l’essenziale: voi, noi, io, pur essendo intensamente stregati, posseduti, erotizzati, esaltati, spaventati, amando, soffrendo, godendo, odiando, sappiamo sempre di essere in una poltrona a contemplare uno spettacolo immaginario: viviamo […] in uno stato di doppia coscienza. Questo stato è sì evidente ma non lo percepiamo, non lo analizziamo; perché il paradigma disgiuntivo ci impedisce di concepire l’unità di due coscienze antinomiche in uno stesso essere” (Morin 1977, p. 8). È, per l’appunto, il paradigma disgiuntivo, incapace di cogliere la complessità dei fenomeni, a non permettere di capire l’unità complessa e la complementarietà di ciò che è eterogeneo o antagonista: “Il fenomeno da investigare è esattamente quel fenomeno sorprendente per cui l’illusione di realtà è inseparabile dalla coscienza che essa è realmente un’illusione, senza però che questa coscienza uccida il senso di realtà” (Ibidem). Se, dunque, l’essenza umana del sentire, agire, conoscere, pensare, vivere è nel connubio propulsivo di reale e immaginario, occorre che tale connubio sia messo al centro della cura educativa. E volendo accogliere l’idea che narrare e giocare condividano il medesimo cuore pulsante per l’appunto nell’incessante, creativo e vicendevole tradursi di realtà e immaginazione, occorre puntare su una progettualità pedagogica e didattica che sappia mobilitare e promuovere al contempo le conoscenze-competenze ludiche implicate nell’esperienza del narrare e le conoscenzecompetenze narrative implicate nell’esperienza del giocare.
2018
9788857553689
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