Nel presente contributo si analizzano gli affreschi campiti nella grotta di Santa Maria dei Miracoli di Andria, pervenutici in un cattivo stato di conservazione ad eccezione dell'immagine miracolosa della Vergine col Bambino, anch'essa ampiamente ridipinta all'epoca del rinvenimento del luogo di culto rupestre nel 1576. L'immediata fama dei miracoli, amplificata dal clamore della vittoria cristiana di Lepanto spinsero il duca di Andria, Fabrizio II Carafa a patrocinare la costruzione di una chiesa con annesso convento. Il complesso si era sviluppato nel Medioevo lungo le pareti di una delle numerose lame che attraversano il territorio di Andria, conosciuta con il nome di “lama di Santa Margherita” per la presenza di un affresco raffigurante la santa martire di Antiochia ancora oggi riconoscibile nonostante le numerose cadute di colore. L’aspetto dell’antico insediamento pre-normanno all’arrivo del primo conte Pietro doveva presentarsi simile a quello dei tanti villaggi rupestri sparsi tra la Puglia e la Basilicata. La chiesa rupestre si presenta oggi inserita in una complesso distribuito su tre livelli. Nella grotta, ancora leggibile è l’articolazione dello spazio in due celle, in una delle quali accanto all’affresco di Santa Margherita appare San Nicola, entrambi affiancati da una serie di scene della vita, come due icone agiografiche. L'analisi delle testimonianze pittoriche riconduce da un lato all’area tarantina (Sant’Antonio Abate e Buona Nuova di Massafra) dall’altro all’area materana (Madonna della Croce, San Giovanni in Monterrone) e brindisina (chiesa di Santa Lucia). Ancora più intime relazioni sono con la Puglia settentrionale, in particolare con alcuni affreschi della chiesa di Santa Maria Maggiore a Monte Sant’Angelo. Un filone di cultura che al passaggio tra l’età sveva e l’età angioina si esprime attraverso un linguaggio estremamente articolato di marca latina. una “maniera” in cui molteplici suggestioni provenienti ora dalla Terrasanta, ora dai Balcani, ora dalla Campania e dal vicino Abruzzo rinnovano profondamente il sostrato di cultura bizantina della regione, che in questo periodo registra un vero e proprio fiorire di pitture, difficilmente spiegabile in soli termini locali.

La Madonna dei Miracoli: evoluzione di un culto attraverso alcune testimonianze pittoriche

DEROSA, Luisa Maria Sterpeta
2008-01-01

Abstract

Nel presente contributo si analizzano gli affreschi campiti nella grotta di Santa Maria dei Miracoli di Andria, pervenutici in un cattivo stato di conservazione ad eccezione dell'immagine miracolosa della Vergine col Bambino, anch'essa ampiamente ridipinta all'epoca del rinvenimento del luogo di culto rupestre nel 1576. L'immediata fama dei miracoli, amplificata dal clamore della vittoria cristiana di Lepanto spinsero il duca di Andria, Fabrizio II Carafa a patrocinare la costruzione di una chiesa con annesso convento. Il complesso si era sviluppato nel Medioevo lungo le pareti di una delle numerose lame che attraversano il territorio di Andria, conosciuta con il nome di “lama di Santa Margherita” per la presenza di un affresco raffigurante la santa martire di Antiochia ancora oggi riconoscibile nonostante le numerose cadute di colore. L’aspetto dell’antico insediamento pre-normanno all’arrivo del primo conte Pietro doveva presentarsi simile a quello dei tanti villaggi rupestri sparsi tra la Puglia e la Basilicata. La chiesa rupestre si presenta oggi inserita in una complesso distribuito su tre livelli. Nella grotta, ancora leggibile è l’articolazione dello spazio in due celle, in una delle quali accanto all’affresco di Santa Margherita appare San Nicola, entrambi affiancati da una serie di scene della vita, come due icone agiografiche. L'analisi delle testimonianze pittoriche riconduce da un lato all’area tarantina (Sant’Antonio Abate e Buona Nuova di Massafra) dall’altro all’area materana (Madonna della Croce, San Giovanni in Monterrone) e brindisina (chiesa di Santa Lucia). Ancora più intime relazioni sono con la Puglia settentrionale, in particolare con alcuni affreschi della chiesa di Santa Maria Maggiore a Monte Sant’Angelo. Un filone di cultura che al passaggio tra l’età sveva e l’età angioina si esprime attraverso un linguaggio estremamente articolato di marca latina. una “maniera” in cui molteplici suggestioni provenienti ora dalla Terrasanta, ora dai Balcani, ora dalla Campania e dal vicino Abruzzo rinnovano profondamente il sostrato di cultura bizantina della regione, che in questo periodo registra un vero e proprio fiorire di pitture, difficilmente spiegabile in soli termini locali.
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