Il saggio prende in esame alcuni aspetti legati all’interazione tra uomo e natura nella costruzione del paesaggio rurale di Terra di Bari, dopo aver valutato preliminarmente l’opportunità di adottare come campo d’osservazione la provincia, nella consapevolezza che la fissazione degli spazi entro cui esaminare fenomeni e processi storici costituisca un’operazione tutt’altro che neutra, in grado di pesare sui risultati della ricerca. In tale ambito territoriale mette in evidenza rilevanti fattori identitari e una pluralità di non meno importanti caratteristiche geo-antropiche che sfruttavano come positiva risorsa le diversità delle sub-aree provinciali. In primo luogo viene analizzata la tipologia insediativa che, di antiche origini, si era andata definendo nell’arco di tempo compreso tra la dissoluzione della civiltà imperiale romana e il riassetto successivo alla crisi di metà Trecento e che in età moderna s’era conservata piuttosto stabile, caratterizzata dalla quasi totale assenza di villaggi rurali e dalla concentrazione della popolazione in centri urbani, tra loro scarsamente gerarchizzati e disposti lungo linee ideali grossomodo parallele al mare. È poi presa in considerazione la rete stradale, comprensiva di arterie principali, sviluppate longitudinalmente sul territorio provinciale, e percorsi secondari e rotabili naturali cui erano prevalentemente demandati i collegamenti interni. Impostata già in epoca romana e in seguito riadattata ma mai in maniera adeguata, la viabilità solo tra XVIII e XIX secolo venne migliorata, grazie a piani coerenti di intervento. Per le comunicazioni della provincia non minore importanza assumeva il sistema portuale, ove modesti approdi che sfruttavano l’accesso al mare delle lame erano inframmezzati a porti di maggiori dimensioni, ma esposti ai venti e all’interrimento, mai pienamente efficienti sia che si avvalessero di insenature naturali sia che fossero dotati di malsicuri moli artificiali. Tra Sette e Ottocento il governo borbonico puntò a realizzare miglioramenti degli impianti portuali, ma incertezze nella definizione dei progetti, complicazioni tecniche, lungaggini burocratiche e difficoltà nel reperimento dei fondi ritardarono l’esecuzione dei lavori. Attraverso le testimonianze di viaggiatori e agrimensori sono colte le caratteristiche di un paesaggio vario che andava dagli uliveti della fascia costiera al caratteristico habitat pietroso e brullo dell’altopiano murgiano, passando attraverso pianori intermedi tenuti prevalentemente a bosco, una risorsa fondamentale, regolamentata da norme consuetudinarie e statuti locali, non di rado oggetto di controversie originate dalle contrastanti esigenze di preservare l’incolto o di incentivare la coltivazione della terra. Viene infine descritta la trama composita di manufatti sacri e profani che, finalizzati alla valorizzazione economica, alla difesa e fin anche la sacralizzazione del territorio, si dispiegava negli spazi extraurbani della provincia. L’abbondanza di pietra locale serviva a terrazzare i campi, a erigere muretti divisori, riposi, jazzi e lamioni utilizzati da greggi e pastori, capanne per usi agricoli ed edifici rurali più complessi, quali erano i trulli della Murgia sud-orientale, rispondenti alle esigenze abitative di una popolazione che, diversamente da quel che avveniva altrove, aveva un rapporto stabile con la campagna. In quella stessa sub-area e sull’altopiano murgiano, ove l’armatura urbana era più rada e fragile e perciò incapace di imporre la sua organizzazione al territorio circostante, sorgevano le masserie, unità produttivo-residenziali sovente dotate di apparati difensivi per fronteggiare gli attacchi di predoni di terra e di mare. Le masserie fortificate non erano che una delle componenti di una ben più articolata rete difensiva che si venne definendo a partire dagli inizi del secondo millennio con la costruzione di torri e castelli, dipendenti originariamente dall’autorità regia e solo più tardi, specie nelle aree interne, controllati da grandi baroni che provvidero alla trasformazione di alcune strutture in eleganti residenze nobiliari. Caratterizzavano parimenti il paesaggio della Puglia centrale santuari, chiese rurali - rupestri e sub divo - complessi monastici e insediamenti conventuali. Alla sacralizzazione, nonché al controllo e alla valorizzazione economica del territorio, concorsero in particolare i benedettini, attivissimi “costruttori di paesaggi” a partire dall’anno Mille, mentre gli ordini mendicanti instaurarono un rapporto preferenziale con le città, salvo i cappuccini, costola dell’ordine francescano nata nel Cinquecento e legata alle campagne ove furono edificati conventi che non di rado condizionarono lo sviluppo della rete stradale di raccordo ai vicini centri urbani.

Un paesaggio costruito: la provincia storica di Terra di Bari

Papagna Elena
2018-01-01

Abstract

Il saggio prende in esame alcuni aspetti legati all’interazione tra uomo e natura nella costruzione del paesaggio rurale di Terra di Bari, dopo aver valutato preliminarmente l’opportunità di adottare come campo d’osservazione la provincia, nella consapevolezza che la fissazione degli spazi entro cui esaminare fenomeni e processi storici costituisca un’operazione tutt’altro che neutra, in grado di pesare sui risultati della ricerca. In tale ambito territoriale mette in evidenza rilevanti fattori identitari e una pluralità di non meno importanti caratteristiche geo-antropiche che sfruttavano come positiva risorsa le diversità delle sub-aree provinciali. In primo luogo viene analizzata la tipologia insediativa che, di antiche origini, si era andata definendo nell’arco di tempo compreso tra la dissoluzione della civiltà imperiale romana e il riassetto successivo alla crisi di metà Trecento e che in età moderna s’era conservata piuttosto stabile, caratterizzata dalla quasi totale assenza di villaggi rurali e dalla concentrazione della popolazione in centri urbani, tra loro scarsamente gerarchizzati e disposti lungo linee ideali grossomodo parallele al mare. È poi presa in considerazione la rete stradale, comprensiva di arterie principali, sviluppate longitudinalmente sul territorio provinciale, e percorsi secondari e rotabili naturali cui erano prevalentemente demandati i collegamenti interni. Impostata già in epoca romana e in seguito riadattata ma mai in maniera adeguata, la viabilità solo tra XVIII e XIX secolo venne migliorata, grazie a piani coerenti di intervento. Per le comunicazioni della provincia non minore importanza assumeva il sistema portuale, ove modesti approdi che sfruttavano l’accesso al mare delle lame erano inframmezzati a porti di maggiori dimensioni, ma esposti ai venti e all’interrimento, mai pienamente efficienti sia che si avvalessero di insenature naturali sia che fossero dotati di malsicuri moli artificiali. Tra Sette e Ottocento il governo borbonico puntò a realizzare miglioramenti degli impianti portuali, ma incertezze nella definizione dei progetti, complicazioni tecniche, lungaggini burocratiche e difficoltà nel reperimento dei fondi ritardarono l’esecuzione dei lavori. Attraverso le testimonianze di viaggiatori e agrimensori sono colte le caratteristiche di un paesaggio vario che andava dagli uliveti della fascia costiera al caratteristico habitat pietroso e brullo dell’altopiano murgiano, passando attraverso pianori intermedi tenuti prevalentemente a bosco, una risorsa fondamentale, regolamentata da norme consuetudinarie e statuti locali, non di rado oggetto di controversie originate dalle contrastanti esigenze di preservare l’incolto o di incentivare la coltivazione della terra. Viene infine descritta la trama composita di manufatti sacri e profani che, finalizzati alla valorizzazione economica, alla difesa e fin anche la sacralizzazione del territorio, si dispiegava negli spazi extraurbani della provincia. L’abbondanza di pietra locale serviva a terrazzare i campi, a erigere muretti divisori, riposi, jazzi e lamioni utilizzati da greggi e pastori, capanne per usi agricoli ed edifici rurali più complessi, quali erano i trulli della Murgia sud-orientale, rispondenti alle esigenze abitative di una popolazione che, diversamente da quel che avveniva altrove, aveva un rapporto stabile con la campagna. In quella stessa sub-area e sull’altopiano murgiano, ove l’armatura urbana era più rada e fragile e perciò incapace di imporre la sua organizzazione al territorio circostante, sorgevano le masserie, unità produttivo-residenziali sovente dotate di apparati difensivi per fronteggiare gli attacchi di predoni di terra e di mare. Le masserie fortificate non erano che una delle componenti di una ben più articolata rete difensiva che si venne definendo a partire dagli inizi del secondo millennio con la costruzione di torri e castelli, dipendenti originariamente dall’autorità regia e solo più tardi, specie nelle aree interne, controllati da grandi baroni che provvidero alla trasformazione di alcune strutture in eleganti residenze nobiliari. Caratterizzavano parimenti il paesaggio della Puglia centrale santuari, chiese rurali - rupestri e sub divo - complessi monastici e insediamenti conventuali. Alla sacralizzazione, nonché al controllo e alla valorizzazione economica del territorio, concorsero in particolare i benedettini, attivissimi “costruttori di paesaggi” a partire dall’anno Mille, mentre gli ordini mendicanti instaurarono un rapporto preferenziale con le città, salvo i cappuccini, costola dell’ordine francescano nata nel Cinquecento e legata alle campagne ove furono edificati conventi che non di rado condizionarono lo sviluppo della rete stradale di raccordo ai vicini centri urbani.
2018
978-88-7125-352-7
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