Il tema affrontato, pur risalente nel tempo e ampiamente sviscerato dalla dottrina (non solo giuspubblicistica, sia del passato sia, con minore interesse, del presente), non sembra il frutto della scelta di effettuare, ancora una volta, una indagine storiografica della figura del giurista e politico Vittorio Emanuele Orlando. L’obiettivo perseguito, piuttosto, è quello di rivalutare e attualizzare alcuni risultati a cui è pervenuta la sua riflessione scientifica (nonché il suo impegno civile, istituzionale e professionale) e che, nelle tante metateorie successive, appaiono oggetto meno di “giudizi” che di “pregiudizi”. Lo studio, pertanto, scaturisce dalla premessa fondamentale, proprio di matrice orlandiana, dell’esistenza di inevitabili nessi tra la cultura (scientifica, politica, sociale e via dicendo) di ieri e quella di oggi, nessi che, conseguentemente, impongono di trarre dal passato il più realistico insegnamento per il futuro. E viene poi condotto nella consapevolezza che non sia possibile analizzare alcuna pagina scritta o azione compiuta dallo stesso fondatore della Scuola giuridica nazionale senza tenere conto che essa in realtà è solo una minuscola parte di un “tutto” perlopiù indivisibile e che, perciò stesso, va interpretata al di là di artificiosi escamotages logici. Altra ferma convinzione ispiratrice del lavoro è il bisogno di estendere il campo d’indagine dalla bibliografia alla biografia, sul presupposto che, per comprendere appieno e riproporre al presente lo statuto teorico di un qualsiasi autore di un’epoca pregressa, sia utile, anzi indispensabile, analizzare cos’altro, a parte scrivere libri, questi abbia fatto nel corso della sua esistenza. Se tutto ciò può essere condivisibile in linea generale, lo diviene ancor di più nella specie, in considerazione tanto della longevità di Orlando (a oltre novant’anni di vita ne corrispondono oltre settanta di produzione scientifica) quanto del numero, elevatissimo, di interessi coltivati e attività praticate da Lui. In altri termini, v’e da rimarcare come Egli non sia stato esclusivamente un diretto e attento testimone di quasi cent’anni di storia italiana, ma altresì un attivo protagonista delle più significative, complesse e spesso pure drammatiche transizioni costituzionali che l’hanno indelebilmente segnata. Ad ogni modo, per quanto Orlando si sia adoperato, in vesti e periodi differenti, per la crescita, oltre che culturale, anche politica, sociale ed economica del Paese, esiste un ambito della sua lunga e varia esperienza di vita degno di maggiore considerazione. Egli risulta, in primis, uno studioso d’eccezione, un Maestro ineguagliabile delle discipline giuspubblicistiche, dimodoché tutti gli altri ruoli svolti, tutte le altre cariche o mansioni ricoperte, tutte le altre dimensioni concrete vissute assumerebbero un significato non autonomo, ma un valore essenzialmente strumentale alla migliore comprensione dell’Orlando giurista. Il suo stesso magistero scientifico, per quanto anch’esso prolungato e diversificato negli argomenti toccati, viene visto brillare, a dispetto dei tanti, reiterati tentativi di offuscamento, specialmente per via degli studi sul metodo nel diritto pubblico, a partire dal più famoso dei suoi contributi, ossia la prolusione tenuta, nel gennaio del 1889, ai corsi di diritto amministrativo e costituzionale dell’Università di Palermo. Per tale via, anche qui, ogni altro tema trattato da Orlando, ogni altra problematica da Lui affrontata, ogni altra ricerca da Lui condotta mostrerebbe di essere meritevole di analisi in quanto elemento chiarificatore di quella peculiare impostazione metodologica che tanto ha fatto discutere e ancora sembra far discutere la dottrina giuspubblicistica (e non solo). La ricerca, pertanto, muovendosi in costante e serrato confronto dialettico con le diverse correnti cc.dd. non-orlandiane e post-orlandiane (che tendono complessivamente a fare del Maestro siciliano un giurista piuttosto celebre ma non già celebrato) rivede con diversi riferimenti testuali (tratti dalle sue pagine più note e da quelle meno citate, nonché dagli scritti minori) la vulgata secondo cui Questi sarebbe rimasto costantemente chiuso in un vuoto dogmatismo, soggetto ai rigidi schemi vetero-liberali, incapace di emanciparsi da uno statalismo autoritario di impronta germanica e, come tale, insensibile, quando non ostile, ai diversi movimenti di opinione e alle nuove istanze socio-economiche non in linea con i paradigmi monarchico-borghesi. Viene, allora, illustrato il percorso che il Padre della giuspubblicistica italiana ha seguito per consentire a quest’ultima non solo di ottenere ab origine, e mantenere nel tempo, una propria dignità scientifica e un proprio metodo, ma anche di riconsiderare criticamente le proprie precedenti acquisizioni, senza alcuna forma particolare di preclusione od ostracismo, dal momento che i più disparati sistemi concettuali esistenti, i più contrastanti orientamenti ideologici avrebbero tutti ragione in ciò che affermano e tutti torto in ciò che negano. Siffatta larghezza di vedute si traduce in una marcata tendenza più a conciliare che a escludere, e, principalmente, in una singolare attitudine a mantenere il rispetto verso la tradizione aprendosi, per così dire, al “nuovo che avanza”. Ciò, innanzitutto, gli ha consentito di occuparsi di tematiche considerate tra le più difficili e controverse, quelle che veramente stanno ai confini del diritto (quali il diritto di resistenza, le cause giustificative dell’esistenza dello Stato, l’“ingerenza sociale” dei poteri pubblici, la funzione dei partiti e dei sindacati, la consuetudine e la normatività del fatto, la delinquenza minorile, la condizione giuridica della donna, la tutela dei lavoratori, l’estensione del suffragio e via dicendo) e che, proprio per questo, tradiscono la sua impostazione tutt’altro che formalistica e autoritaria. In secondo luogo, lo hanno portato a fornire su diverse questioni giuridiche chiavi di lettura originali, quando non “profetiche” (si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla decadenza del sistema parlamentare per le invasioni di campo del governo e per la corruzione della classe dirigente nazionale; alla sussidiarietà, vista, ad un tempo, come rimedio per l’eccessivo carico di compiti per lo Stato e come strumento di valorizzazione delle autonomie territoriali e/o sociali; al rapporto di genus ad speciem tra diritto e Stato, sulla cui base giungere a postulare una insopprimibile pluralità di ordinamenti e, così, prefigurare una o più Comunità sovranazionali in grado di esercitare poteri delegati dai Paesi membri), anticipando con stupefacente lungimiranza situazioni politico-istituzionali ed assetti normativi che si sarebbero manifestati o realizzati compiutamente molto più in là nel tempo. In terzo luogo, lo ha reso paradossalmente uno dei meno “orlandiani” tra i suoi, talvolta fin troppo zelanti, emuli, vale a dire uno studioso non solo tra più realisti e meno dogmatici della propria stessa scuola ma anche tra i maggiormente propensi a revisionare e integrare il proprio pensiero su molti temi (si pensi, a tacer d’altro, alla giurisdizione amministrativa, alle forme di attuazione dei servizi pubblici, alla concezione della sovranità e del ruolo dello Stato, ai rapporti tra diritto pubblico e diritto privato e, più in generale, tra discipline giuridiche). Insomma, la maggiore esigenza che pare aver avvertito Orlando è quella, per l’appunto, di riesaminare e risistemare continuamente l’ordinamento, il quale, anche a causa dell’inerzia o dell’insipienza del legislatore, non rappresenterebbe mai un mero dato, di cui prendere pacificamente atto, bensì sempre un problema, più o meno grave, da risolvere. Da qui emergono, quasi plasticamente, i due assi portanti del metodo da Lui elaborato, ossia la storicità dei concetti giuridici e il carattere sistematico dell’ordinamento, che, in fin dei conti, appaiono anche come i motivi essenziali della perdurante attualità del suo insegnamento. L’insigne giurista, così, ha proceduto più per “rassegnati dubbi” che per “facili certezze”, rimanendo, comunque, sempre all’erta rispetto ai tanti avvisi provenienti dal passato. E la sua opera complessiva, dunque, sembra implicitamente suggerirci come, alla stessa stregua della sua, anche quella nostra possa essere “l’epoca dei giuristi”.

Contributo alla riflessione sul lascito di Vittorio Emanuele Orlando nel diritto pubblico

vittorio teotonico
2018-01-01

Abstract

Il tema affrontato, pur risalente nel tempo e ampiamente sviscerato dalla dottrina (non solo giuspubblicistica, sia del passato sia, con minore interesse, del presente), non sembra il frutto della scelta di effettuare, ancora una volta, una indagine storiografica della figura del giurista e politico Vittorio Emanuele Orlando. L’obiettivo perseguito, piuttosto, è quello di rivalutare e attualizzare alcuni risultati a cui è pervenuta la sua riflessione scientifica (nonché il suo impegno civile, istituzionale e professionale) e che, nelle tante metateorie successive, appaiono oggetto meno di “giudizi” che di “pregiudizi”. Lo studio, pertanto, scaturisce dalla premessa fondamentale, proprio di matrice orlandiana, dell’esistenza di inevitabili nessi tra la cultura (scientifica, politica, sociale e via dicendo) di ieri e quella di oggi, nessi che, conseguentemente, impongono di trarre dal passato il più realistico insegnamento per il futuro. E viene poi condotto nella consapevolezza che non sia possibile analizzare alcuna pagina scritta o azione compiuta dallo stesso fondatore della Scuola giuridica nazionale senza tenere conto che essa in realtà è solo una minuscola parte di un “tutto” perlopiù indivisibile e che, perciò stesso, va interpretata al di là di artificiosi escamotages logici. Altra ferma convinzione ispiratrice del lavoro è il bisogno di estendere il campo d’indagine dalla bibliografia alla biografia, sul presupposto che, per comprendere appieno e riproporre al presente lo statuto teorico di un qualsiasi autore di un’epoca pregressa, sia utile, anzi indispensabile, analizzare cos’altro, a parte scrivere libri, questi abbia fatto nel corso della sua esistenza. Se tutto ciò può essere condivisibile in linea generale, lo diviene ancor di più nella specie, in considerazione tanto della longevità di Orlando (a oltre novant’anni di vita ne corrispondono oltre settanta di produzione scientifica) quanto del numero, elevatissimo, di interessi coltivati e attività praticate da Lui. In altri termini, v’e da rimarcare come Egli non sia stato esclusivamente un diretto e attento testimone di quasi cent’anni di storia italiana, ma altresì un attivo protagonista delle più significative, complesse e spesso pure drammatiche transizioni costituzionali che l’hanno indelebilmente segnata. Ad ogni modo, per quanto Orlando si sia adoperato, in vesti e periodi differenti, per la crescita, oltre che culturale, anche politica, sociale ed economica del Paese, esiste un ambito della sua lunga e varia esperienza di vita degno di maggiore considerazione. Egli risulta, in primis, uno studioso d’eccezione, un Maestro ineguagliabile delle discipline giuspubblicistiche, dimodoché tutti gli altri ruoli svolti, tutte le altre cariche o mansioni ricoperte, tutte le altre dimensioni concrete vissute assumerebbero un significato non autonomo, ma un valore essenzialmente strumentale alla migliore comprensione dell’Orlando giurista. Il suo stesso magistero scientifico, per quanto anch’esso prolungato e diversificato negli argomenti toccati, viene visto brillare, a dispetto dei tanti, reiterati tentativi di offuscamento, specialmente per via degli studi sul metodo nel diritto pubblico, a partire dal più famoso dei suoi contributi, ossia la prolusione tenuta, nel gennaio del 1889, ai corsi di diritto amministrativo e costituzionale dell’Università di Palermo. Per tale via, anche qui, ogni altro tema trattato da Orlando, ogni altra problematica da Lui affrontata, ogni altra ricerca da Lui condotta mostrerebbe di essere meritevole di analisi in quanto elemento chiarificatore di quella peculiare impostazione metodologica che tanto ha fatto discutere e ancora sembra far discutere la dottrina giuspubblicistica (e non solo). La ricerca, pertanto, muovendosi in costante e serrato confronto dialettico con le diverse correnti cc.dd. non-orlandiane e post-orlandiane (che tendono complessivamente a fare del Maestro siciliano un giurista piuttosto celebre ma non già celebrato) rivede con diversi riferimenti testuali (tratti dalle sue pagine più note e da quelle meno citate, nonché dagli scritti minori) la vulgata secondo cui Questi sarebbe rimasto costantemente chiuso in un vuoto dogmatismo, soggetto ai rigidi schemi vetero-liberali, incapace di emanciparsi da uno statalismo autoritario di impronta germanica e, come tale, insensibile, quando non ostile, ai diversi movimenti di opinione e alle nuove istanze socio-economiche non in linea con i paradigmi monarchico-borghesi. Viene, allora, illustrato il percorso che il Padre della giuspubblicistica italiana ha seguito per consentire a quest’ultima non solo di ottenere ab origine, e mantenere nel tempo, una propria dignità scientifica e un proprio metodo, ma anche di riconsiderare criticamente le proprie precedenti acquisizioni, senza alcuna forma particolare di preclusione od ostracismo, dal momento che i più disparati sistemi concettuali esistenti, i più contrastanti orientamenti ideologici avrebbero tutti ragione in ciò che affermano e tutti torto in ciò che negano. Siffatta larghezza di vedute si traduce in una marcata tendenza più a conciliare che a escludere, e, principalmente, in una singolare attitudine a mantenere il rispetto verso la tradizione aprendosi, per così dire, al “nuovo che avanza”. Ciò, innanzitutto, gli ha consentito di occuparsi di tematiche considerate tra le più difficili e controverse, quelle che veramente stanno ai confini del diritto (quali il diritto di resistenza, le cause giustificative dell’esistenza dello Stato, l’“ingerenza sociale” dei poteri pubblici, la funzione dei partiti e dei sindacati, la consuetudine e la normatività del fatto, la delinquenza minorile, la condizione giuridica della donna, la tutela dei lavoratori, l’estensione del suffragio e via dicendo) e che, proprio per questo, tradiscono la sua impostazione tutt’altro che formalistica e autoritaria. In secondo luogo, lo hanno portato a fornire su diverse questioni giuridiche chiavi di lettura originali, quando non “profetiche” (si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla decadenza del sistema parlamentare per le invasioni di campo del governo e per la corruzione della classe dirigente nazionale; alla sussidiarietà, vista, ad un tempo, come rimedio per l’eccessivo carico di compiti per lo Stato e come strumento di valorizzazione delle autonomie territoriali e/o sociali; al rapporto di genus ad speciem tra diritto e Stato, sulla cui base giungere a postulare una insopprimibile pluralità di ordinamenti e, così, prefigurare una o più Comunità sovranazionali in grado di esercitare poteri delegati dai Paesi membri), anticipando con stupefacente lungimiranza situazioni politico-istituzionali ed assetti normativi che si sarebbero manifestati o realizzati compiutamente molto più in là nel tempo. In terzo luogo, lo ha reso paradossalmente uno dei meno “orlandiani” tra i suoi, talvolta fin troppo zelanti, emuli, vale a dire uno studioso non solo tra più realisti e meno dogmatici della propria stessa scuola ma anche tra i maggiormente propensi a revisionare e integrare il proprio pensiero su molti temi (si pensi, a tacer d’altro, alla giurisdizione amministrativa, alle forme di attuazione dei servizi pubblici, alla concezione della sovranità e del ruolo dello Stato, ai rapporti tra diritto pubblico e diritto privato e, più in generale, tra discipline giuridiche). Insomma, la maggiore esigenza che pare aver avvertito Orlando è quella, per l’appunto, di riesaminare e risistemare continuamente l’ordinamento, il quale, anche a causa dell’inerzia o dell’insipienza del legislatore, non rappresenterebbe mai un mero dato, di cui prendere pacificamente atto, bensì sempre un problema, più o meno grave, da risolvere. Da qui emergono, quasi plasticamente, i due assi portanti del metodo da Lui elaborato, ossia la storicità dei concetti giuridici e il carattere sistematico dell’ordinamento, che, in fin dei conti, appaiono anche come i motivi essenziali della perdurante attualità del suo insegnamento. L’insigne giurista, così, ha proceduto più per “rassegnati dubbi” che per “facili certezze”, rimanendo, comunque, sempre all’erta rispetto ai tanti avvisi provenienti dal passato. E la sua opera complessiva, dunque, sembra implicitamente suggerirci come, alla stessa stregua della sua, anche quella nostra possa essere “l’epoca dei giuristi”.
2018
978-88-6611-701-8
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