L’ultimo ventennio, e l’ultimo “salto generazionale”, ha mostrato la crasi profonda tra le generazioni, l’una – la più recente – portatrice della cultura postmoderna, le altre impegnate nella contestazione al novum e in forte difficoltà rispetto alla capacità di assolvere alla funzione di agenzie di socializzazione primaria e (soprattutto) secondaria. Questa difficoltà interessa non solo i singoli o gli adulti nel rapporto genitori /figli o educatori/educati, ma si manifesta in un rapporto assai conflittuale tra quelle istituzioni percepite come “rigide” e normativizzanti (assolutamente estranee alla cultura postmoderna) e le giovani generazioni. Un esempio in questo senso è rappresentato, nel nostro Paese, dalla Chiesa Cattolica la quale sembra avere perso la capacità di influenza sulle coscienze, limitandosi a un ruolo di “presidio antropologico”, utile a segnare simbolicamente i rituali di passaggio, più per volere degli adulti che per convinzione dei giovani. La ricerca dell’Istituto Toniolo “Dio a modo mio” ha mostrato come, pur non essendo tramontata l’esigenza di sacro, pur rimanendo profondo il “senso” del sacro, sia in atto un processo di individualizzazione dell’esperienza religiosa che, rinunciando alla sua dimensione comunitaria, viene esperita – appunto – declinandosi al singolare. In un contesto di questo genere, trova senso un ragionamento plurale sulla questione dell’educazione cattolica, che in Italia passa (non solo, ma anche) attraverso l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Di fronte alla perdita di “forza centripeta” da parte delle parrocchie e dei presidi territoriali ecclesiali, mantiene ancora un forte appeal l’ora di religione a scuola, caricando dunque i docenti di un compito assai gravoso: quello di essere i nuovi (possibili) presidi della Chiesa sul territorio, i (possibili) volti di una “Chiesa in uscita”, secondo un ‘immagine spesso usata da Papa Francesco. I volti di una Chiesa che ha la possibilità di incontrare i giovani e i lontani sul loro terreno culturale, ma che potrà essere idonea al compito a condizione di conoscerne, accettarne e in certo modo amarne (alle volte soffrendone) la cultura, i linguaggi, gli stili. Occorre, a questo proposito essere capaci di vivere quella che Mons. Tonino Bello, compianto Vescovo di Molfetta, definiva “convivialità delle differenze”. Si è soliti ragionare in termini di differenze osservando le macroquestioni, come il sesso, la provenienza geografica, le convinzioni politiche. Oggi sembra che la spaccatura tra generazioni richieda un nuovo patto, basato sull’impegno a riconoscere il giovane “in sè”, e non in quanto “adulto in divenire”: questo permetterà agli adulti e ai giovani di progettare il presente, e non di guardare l’universo giovanile come “il futuro della società”. Ritenere i giovani “il futuro”, vuol dire fare morire il loro presente. Occorre, oggi più che mai, ri-conoscere i giovani nel loro presente, diverso, strano, problematico, a tratti incomprensibile. E amarli, per “farci prossimi”, compagni di viaggio nel cammino della vita che, al di là delle apparenze, a tutti, a noi e a loro, incute timore. Il volume raccoglie una pluralità di riflessioni da parte di accademici e docenti di Religione nelle scuole italiane che, ciascuna dalla propria prospettiva, tentano di spiegare questo volto della complessità.

Religione, Cultura e Società

Paolo Contini
2018-01-01

Abstract

L’ultimo ventennio, e l’ultimo “salto generazionale”, ha mostrato la crasi profonda tra le generazioni, l’una – la più recente – portatrice della cultura postmoderna, le altre impegnate nella contestazione al novum e in forte difficoltà rispetto alla capacità di assolvere alla funzione di agenzie di socializzazione primaria e (soprattutto) secondaria. Questa difficoltà interessa non solo i singoli o gli adulti nel rapporto genitori /figli o educatori/educati, ma si manifesta in un rapporto assai conflittuale tra quelle istituzioni percepite come “rigide” e normativizzanti (assolutamente estranee alla cultura postmoderna) e le giovani generazioni. Un esempio in questo senso è rappresentato, nel nostro Paese, dalla Chiesa Cattolica la quale sembra avere perso la capacità di influenza sulle coscienze, limitandosi a un ruolo di “presidio antropologico”, utile a segnare simbolicamente i rituali di passaggio, più per volere degli adulti che per convinzione dei giovani. La ricerca dell’Istituto Toniolo “Dio a modo mio” ha mostrato come, pur non essendo tramontata l’esigenza di sacro, pur rimanendo profondo il “senso” del sacro, sia in atto un processo di individualizzazione dell’esperienza religiosa che, rinunciando alla sua dimensione comunitaria, viene esperita – appunto – declinandosi al singolare. In un contesto di questo genere, trova senso un ragionamento plurale sulla questione dell’educazione cattolica, che in Italia passa (non solo, ma anche) attraverso l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Di fronte alla perdita di “forza centripeta” da parte delle parrocchie e dei presidi territoriali ecclesiali, mantiene ancora un forte appeal l’ora di religione a scuola, caricando dunque i docenti di un compito assai gravoso: quello di essere i nuovi (possibili) presidi della Chiesa sul territorio, i (possibili) volti di una “Chiesa in uscita”, secondo un ‘immagine spesso usata da Papa Francesco. I volti di una Chiesa che ha la possibilità di incontrare i giovani e i lontani sul loro terreno culturale, ma che potrà essere idonea al compito a condizione di conoscerne, accettarne e in certo modo amarne (alle volte soffrendone) la cultura, i linguaggi, gli stili. Occorre, a questo proposito essere capaci di vivere quella che Mons. Tonino Bello, compianto Vescovo di Molfetta, definiva “convivialità delle differenze”. Si è soliti ragionare in termini di differenze osservando le macroquestioni, come il sesso, la provenienza geografica, le convinzioni politiche. Oggi sembra che la spaccatura tra generazioni richieda un nuovo patto, basato sull’impegno a riconoscere il giovane “in sè”, e non in quanto “adulto in divenire”: questo permetterà agli adulti e ai giovani di progettare il presente, e non di guardare l’universo giovanile come “il futuro della società”. Ritenere i giovani “il futuro”, vuol dire fare morire il loro presente. Occorre, oggi più che mai, ri-conoscere i giovani nel loro presente, diverso, strano, problematico, a tratti incomprensibile. E amarli, per “farci prossimi”, compagni di viaggio nel cammino della vita che, al di là delle apparenze, a tutti, a noi e a loro, incute timore. Il volume raccoglie una pluralità di riflessioni da parte di accademici e docenti di Religione nelle scuole italiane che, ciascuna dalla propria prospettiva, tentano di spiegare questo volto della complessità.
2018
9788866471974
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/216737
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