Negli ultimi anni il risk reporting ha ricevuto una crescente attenzione da parte degli standard setter e degli enti di regolamentazione in tutto il mondo, in seguito alla crisi economica e ai numerosi scandali finanziari che hanno interessato i mercati nazionali ed internazionali. Molteplici ricerche empiriche hanno mostrato un costante incremento della domanda di informazioni sui rischi aziendali da parte degli utilizzatori del bilancio. La necessità di valutare accuratamente il profilo di rischio dell’impresa è certamente legata alla crescente incertezza nella quale gli investitori operano all’interno del mercato. Attualmente le grandi aziende ed in particolare i gruppi quotati di maggiori dimensioni, destinano notevoli risorse finanziarie al monitoraggio dei fattori di rischio, poiché sono consapevoli che una loro eccessiva concentrazione potrebbe spingere il mercato a sottovalutare le performance aziendali, compromettendo nel lungo periodo la stabilità economica. Tuttavia, l’efficace implementazione dei sistemi di controllo interno, in grado, cioè, di presidiare tutte le aree di rischio dell’impresa, non appare sufficiente: è indispensabile che il management adotti adeguati strumenti di comunicazione, al fine di garantire un costante flusso informativo verso l’esterno. Chiaramente, in contesti economici caratterizzati da turbolenza e incertezza, la corretta gestione dei rischi aziendali assume un ruolo cruciale nel processo di creazione del valore delle imprese e per gli investitori il livello di risk disclosure diviene una proxy utile a misurare il grado di sviluppo del sistema di risk management. Le società dotate di un sistema di gestione dei rischi inadeguato, infatti, non sono in grado di fornire al mercato utili informazioni in merito alla loro effettiva esposizione ai fattori di rischio e, conseguentemente, gli investitori possono non apprezzare correttamente il loro valore. La scelta dei veicoli comunicativi e della qualità della disclosure dei rischi è legata alla valutazione da parte del management del trade-off esistente tra costi e benefici, generato dall’esigenza di contemperare l’interesse a non divulgare delle informazioni sensibili ai propri competitors, con quello degli shareholders a ricevere notizie utili per le decisioni di investimento. Nell’ottica di assicurare una maggiore trasparenza dell’informativa economico-finanziaria, dal 2007 l’International Accounting Standards Board (IASB) ha imposto alle imprese che adottano il modello di bilancio IAS/IFRS una disclosure più stringente in merito all’esposizione ai rischi finanziari, agli obiettivi e ai processi di gestione di tali rischi, in conformità al principio contabile internazionale IFRS 7 “Strumenti finanziari: informazioni integrative”. A livello nazionale, simili obblighi informativi sono stati introdotti dal D. Lgs. 394/2003, in seguito al recepimento della Direttiva 2001/65/CE del 27 settembre 2001. Nel 2006 anche l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) è intervenuto, pubblicando il principio contabile OIC 3 “Le informazioni sugli strumenti finanziari da includere nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione”, sostituito, nel dicembre del 2016, dal principio contabile OIC 32 “Strumenti finanziari derivati”. Altre istituzioni europee, tra le quali il Financial Stability Board (FSB) e il Comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza (Joint Committee of the European Supervisory Authorities), hanno caldeggiato il miglioramento dell’informativa sui rischi finanziari, con l’obiettivo di tutelare gli investitori. Tale vivo interesse è ascrivibile da un lato, all’inadeguatezza dei preesistenti modelli di financial reporting nel comunicare l’effettivo profilo di rischio dell’impresa, dall’altro alla necessità di garantire un flusso informativo coerente con il crescente livello di incertezza che attanaglia l’intero sistema economico. Alcune organizzazioni professionali, come l’Association of Insurance and Risk Managers, hanno accolto le richieste degli enti di regolamentazione e delle imprese, sviluppando dei quadri teorici di riferimento per la gestione di tutti i rischi di business (finanziari e non). Il presente lavoro si pone l’obiettivo di esaminare la comunicazione dei rischi finanziari nei bilanci di un campione di società quotate italiane non finanziarie, alla luce degli obblighi informativi imposti dal principio contabile internazionale IFRS 7. È stato analizzato l’annual report, poiché esso rappresenta il principale veicolo di comunicazione aziendale, prioritariamente diretto a supportare i processi decisionali nelle scelte di convenienza economica degli investimenti. Secondo lo IASB, infatti, gli utilizzatori del bilancio necessitano di informazioni sull’esposizione ai rischi e sul modo in cui tali rischi sono gestiti, poiché tali elementi possono influenzare la valutazione della posizione patrimoniale - finanziaria e del risultato economico di una impresa. Il lavoro è strutturato come segue. Il primo capitolo illustra l’evoluzione del concetto di rischio nella dottrina economico-aziendale, nonché il processo di gestione delle incertezze all’interno del sistema di controllo interno. Il secondo capitolo è dedicato agli studi riconducibili alla disclosure theory, che hanno esaminato il ruolo svolto dalla comunicazione finanziaria nel mercato dei capitali, la relazione tra informazioni volontarie ed obbligatorie, gli incentivi e le motivazioni del management alla comunicazione, i fattori che influenzano il livello di disclosure e gli effetti della comunicazione. Il terzo capitolo descrive il contesto normativo nazionale ed internazionale di riferimento, con una dettagliata analisi delle informazioni richieste dall’IFRS 7 in merito alle diverse tipologie di rischio cui le imprese sono esposte. Il quarto capitolo analizza le pratiche di financial risk reporting di un campione di società quotate. Nell’ultimo capitolo, infine, viene condotta un’analisi empirica sulle determinanti della comunicazione dei rischi finanziari.

La disclosure sui rischi finanziari tra dottrina, normativa e prassi. Evidenze empiriche dal contesto italiano

DICUONZO, GRAZIA
2018-01-01

Abstract

Negli ultimi anni il risk reporting ha ricevuto una crescente attenzione da parte degli standard setter e degli enti di regolamentazione in tutto il mondo, in seguito alla crisi economica e ai numerosi scandali finanziari che hanno interessato i mercati nazionali ed internazionali. Molteplici ricerche empiriche hanno mostrato un costante incremento della domanda di informazioni sui rischi aziendali da parte degli utilizzatori del bilancio. La necessità di valutare accuratamente il profilo di rischio dell’impresa è certamente legata alla crescente incertezza nella quale gli investitori operano all’interno del mercato. Attualmente le grandi aziende ed in particolare i gruppi quotati di maggiori dimensioni, destinano notevoli risorse finanziarie al monitoraggio dei fattori di rischio, poiché sono consapevoli che una loro eccessiva concentrazione potrebbe spingere il mercato a sottovalutare le performance aziendali, compromettendo nel lungo periodo la stabilità economica. Tuttavia, l’efficace implementazione dei sistemi di controllo interno, in grado, cioè, di presidiare tutte le aree di rischio dell’impresa, non appare sufficiente: è indispensabile che il management adotti adeguati strumenti di comunicazione, al fine di garantire un costante flusso informativo verso l’esterno. Chiaramente, in contesti economici caratterizzati da turbolenza e incertezza, la corretta gestione dei rischi aziendali assume un ruolo cruciale nel processo di creazione del valore delle imprese e per gli investitori il livello di risk disclosure diviene una proxy utile a misurare il grado di sviluppo del sistema di risk management. Le società dotate di un sistema di gestione dei rischi inadeguato, infatti, non sono in grado di fornire al mercato utili informazioni in merito alla loro effettiva esposizione ai fattori di rischio e, conseguentemente, gli investitori possono non apprezzare correttamente il loro valore. La scelta dei veicoli comunicativi e della qualità della disclosure dei rischi è legata alla valutazione da parte del management del trade-off esistente tra costi e benefici, generato dall’esigenza di contemperare l’interesse a non divulgare delle informazioni sensibili ai propri competitors, con quello degli shareholders a ricevere notizie utili per le decisioni di investimento. Nell’ottica di assicurare una maggiore trasparenza dell’informativa economico-finanziaria, dal 2007 l’International Accounting Standards Board (IASB) ha imposto alle imprese che adottano il modello di bilancio IAS/IFRS una disclosure più stringente in merito all’esposizione ai rischi finanziari, agli obiettivi e ai processi di gestione di tali rischi, in conformità al principio contabile internazionale IFRS 7 “Strumenti finanziari: informazioni integrative”. A livello nazionale, simili obblighi informativi sono stati introdotti dal D. Lgs. 394/2003, in seguito al recepimento della Direttiva 2001/65/CE del 27 settembre 2001. Nel 2006 anche l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) è intervenuto, pubblicando il principio contabile OIC 3 “Le informazioni sugli strumenti finanziari da includere nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione”, sostituito, nel dicembre del 2016, dal principio contabile OIC 32 “Strumenti finanziari derivati”. Altre istituzioni europee, tra le quali il Financial Stability Board (FSB) e il Comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza (Joint Committee of the European Supervisory Authorities), hanno caldeggiato il miglioramento dell’informativa sui rischi finanziari, con l’obiettivo di tutelare gli investitori. Tale vivo interesse è ascrivibile da un lato, all’inadeguatezza dei preesistenti modelli di financial reporting nel comunicare l’effettivo profilo di rischio dell’impresa, dall’altro alla necessità di garantire un flusso informativo coerente con il crescente livello di incertezza che attanaglia l’intero sistema economico. Alcune organizzazioni professionali, come l’Association of Insurance and Risk Managers, hanno accolto le richieste degli enti di regolamentazione e delle imprese, sviluppando dei quadri teorici di riferimento per la gestione di tutti i rischi di business (finanziari e non). Il presente lavoro si pone l’obiettivo di esaminare la comunicazione dei rischi finanziari nei bilanci di un campione di società quotate italiane non finanziarie, alla luce degli obblighi informativi imposti dal principio contabile internazionale IFRS 7. È stato analizzato l’annual report, poiché esso rappresenta il principale veicolo di comunicazione aziendale, prioritariamente diretto a supportare i processi decisionali nelle scelte di convenienza economica degli investimenti. Secondo lo IASB, infatti, gli utilizzatori del bilancio necessitano di informazioni sull’esposizione ai rischi e sul modo in cui tali rischi sono gestiti, poiché tali elementi possono influenzare la valutazione della posizione patrimoniale - finanziaria e del risultato economico di una impresa. Il lavoro è strutturato come segue. Il primo capitolo illustra l’evoluzione del concetto di rischio nella dottrina economico-aziendale, nonché il processo di gestione delle incertezze all’interno del sistema di controllo interno. Il secondo capitolo è dedicato agli studi riconducibili alla disclosure theory, che hanno esaminato il ruolo svolto dalla comunicazione finanziaria nel mercato dei capitali, la relazione tra informazioni volontarie ed obbligatorie, gli incentivi e le motivazioni del management alla comunicazione, i fattori che influenzano il livello di disclosure e gli effetti della comunicazione. Il terzo capitolo descrive il contesto normativo nazionale ed internazionale di riferimento, con una dettagliata analisi delle informazioni richieste dall’IFRS 7 in merito alle diverse tipologie di rischio cui le imprese sono esposte. Il quarto capitolo analizza le pratiche di financial risk reporting di un campione di società quotate. Nell’ultimo capitolo, infine, viene condotta un’analisi empirica sulle determinanti della comunicazione dei rischi finanziari.
2018
978-88-921-1509-5
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