Il problema che le questioni umanitarie e quelle relative ai diritti umani universali e alle loro sistematiche violazioni pongono è proprio quello di come intendere l’umanità: questa, che dovrebbe estensivamente accomunarci tutti, in pratica si definisce come un ambito che determina esclusioni. Come intendere infatti l’universale umano, e la conseguente partecipazione ad esso dei singoli individui, al di là di ogni chiusura identitaria e dell’illanguidimento, nell’astratto, delle singolarità, delle determinazioni e delle particolarità di ciascuno? È possibile pensare un’appartenenza, una comunione, un essere insieme che dia sostanza e spessore e quindi senso concreto a un’oggettività e un’uguaglianza formali valide indistintamente per tutti? Si dà cioè per l’uomo la possibilità di sostenere e per certi versi superare la tensione tra universale e particolare, tra l’essere allo stesso tempo membro del genere comune e singolarità unica e irriducibile. Un tentativo di soluzione a questa serie di problemi può venire dalla proposta di pensare differentemente – altrimenti – l’essenza umana, la partecipazione dell’uomo all’essere che non risulti seriale e omologante. Quella che nel saggio si vuole tentare di discutere e verificare è la proposta teorica di un pensiero dell’umano che pensi quest’ultimo al plurale. Secondo questa prospettiva, l’universalità dell’umano non esaurirebbe le singole identità nell’unica e totale Identità, non si concepirebbe come associazione astratta e comune dell’“umanità”, ma esprimerebbe il per altro delle relazioni, il costitutivo essere per sé e per gli altri nelle e attraverso le relazioni. L’universalità non sarebbe propriamente ciò che è a monte o a valle dei processi di costituzione delle soggettività, bensì si configurerebbe come il tra delle relazioni tra gli individui, il tessuto connettivo dei legami tra i soggetti.

L'esistenza plurale dell'umano

Strummiello, G.
2017-01-01

Abstract

Il problema che le questioni umanitarie e quelle relative ai diritti umani universali e alle loro sistematiche violazioni pongono è proprio quello di come intendere l’umanità: questa, che dovrebbe estensivamente accomunarci tutti, in pratica si definisce come un ambito che determina esclusioni. Come intendere infatti l’universale umano, e la conseguente partecipazione ad esso dei singoli individui, al di là di ogni chiusura identitaria e dell’illanguidimento, nell’astratto, delle singolarità, delle determinazioni e delle particolarità di ciascuno? È possibile pensare un’appartenenza, una comunione, un essere insieme che dia sostanza e spessore e quindi senso concreto a un’oggettività e un’uguaglianza formali valide indistintamente per tutti? Si dà cioè per l’uomo la possibilità di sostenere e per certi versi superare la tensione tra universale e particolare, tra l’essere allo stesso tempo membro del genere comune e singolarità unica e irriducibile. Un tentativo di soluzione a questa serie di problemi può venire dalla proposta di pensare differentemente – altrimenti – l’essenza umana, la partecipazione dell’uomo all’essere che non risulti seriale e omologante. Quella che nel saggio si vuole tentare di discutere e verificare è la proposta teorica di un pensiero dell’umano che pensi quest’ultimo al plurale. Secondo questa prospettiva, l’universalità dell’umano non esaurirebbe le singole identità nell’unica e totale Identità, non si concepirebbe come associazione astratta e comune dell’“umanità”, ma esprimerebbe il per altro delle relazioni, il costitutivo essere per sé e per gli altri nelle e attraverso le relazioni. L’universalità non sarebbe propriamente ciò che è a monte o a valle dei processi di costituzione delle soggettività, bensì si configurerebbe come il tra delle relazioni tra gli individui, il tessuto connettivo dei legami tra i soggetti.
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