Qualche breve cenno introduttivo all’ambito delle questioni trattate in questo saggio è doveroso prima di inoltrarsi nella discussione degli aspetti più problematici. Innanzitutto, per sgombrare il campo da equivoci nella comprensione, devo sottolineare che questo non è un lavoro nell’ambito del diritto penale italiano e, quindi, non intende offrire una disamina completa e puntuale delle problematiche relative al delitto degli atti osceni nel diritto italiano né, tantomeno, in ambito di common law anglosassone. Invece, si utilizzano materiali di dottrina e giurisprudenza provenienti da ambedue gli ambiti per una discussione il cui tenore si può ricondurre allo stile filosofico-analitico di tradizione anglosassone, laddove i temi trattati sono temi che richiedono soluzioni normative – e non soltanto analisi linguistiche, come per certa parte della filosofia analitica. In secondo luogo, va precisato che il punto di vista normativo che si assume come punto di riferimento della discussione è quello del liberalismo, quale teoria politica, morale e giuridica. Ciò significa, per anticipare in due parole ciò che merita di ricevere maggiore discussione in seguito, che fa problema – dal punto di vista liberale – qualsiasi limitazione della libertà individuale per ragioni non legate alla protezione di un interesse individuale ben definito. Dunque, è problematica per certi autori liberali la obscenity law nel momento in cui fa riferimento a offenses piuttosto che ad harms. La distinzione non è facilmente traducibile in italiano perché il nostro diritto penale non riconosce né distingue quelle categorie di delitti, in quanto la prospettiva giuspenalistica italiana non corrisponde per tanti versi a quella anglosassone della centralità della libertà individuale rispetto alla quale i limiti imposti dalle norme penali devono essere contenuti quanto possibile. Per certa prospettiva anglosassone, mentre la tutela penale nei casi di danno (harm) appare meno controversa (nonostante tutti i problemi legati alla definizione del concetto), invece per la offense le difficoltà di definire una tutela penalistica e, quindi, limiti alla libertà altrui, deriva dal fatto che il termine è chiamato a “coprire l’intera miscellanea di stati mentali universalmente sgraditi” e certo non tutti possono essere considerati degni di tutela penale. Invece, nel codice penale italiano il delitto di atti osceni rientra nella teoria del reato che ruota intorno alla sua offensività, ovvero alla lesione di interessi tutelati dallo stato, principio accolto anche dalla Costituzione italiana, secondo certa dottrina. È, invece, alle distinzioni di dottrina tra reati senza offesa e senza vittime che dovremmo guardare per cogliere le categorie giuspenalistiche con le quali si affronta l’analisi del delitto di oscenità. In terzo luogo, è importante focalizzare fin d’ora i problemi normativi cui da luogo il concetto di ‘danno morale’ cui facciamo riferimento come categoria filosofico-morale potenzialmente utile a giustificare la sanzione delle oscenità. Nella prospettiva liberale che, come si è detto, si adotta qui le sanzioni penali possono limitare la libertà individuale soltanto quando questa danneggi un ‘interesse’. Il danno (harm) è tale quando colpisce un interesse individuale – ma non soltanto – al benessere, socialmente o economicamente riconoscibile. Il ‘danno morale’ (moral harm) è un concetto assai controverso per il punto di vista liberale perché presuppone che si possa riconoscere ciò che ha valore morale per l’agente, indipendentemente da quel che lei/lui vuole. Gli interessi sono legati a quel che vogliamo, scegliamo, desideriamo e, quindi, dipendono necessariamente dal giudizio dell’agente. Invece, il ‘danno morale’ è un concetto ideal-regarding, legato ad una teoria che definisce ciò che è bene per l’agente indipendentemente dai suoi desideri e volizioni. Il punto di riferimento è nell’etica antica, platonica e aristotelica, secondo la quale un carattere moralmente degradato è un danno per l’agente, quali che siano i suoi effetti sugli interessi dello stesso. Idealmente lo stato deve curarsi di elevare il carattere dei suoi cittadini verso l’eccellenza e, dunque, deve prevenire o punire quel tipo di danni che può limitare lo sviluppo del carattere, appunto il danno morale. In questa accezione intenderemo qui il concetto di ‘danno morale’, sebbene, da un punto di vista liberale, questo concetto ha senso soltanto nella misura in cui l’agente ha un interesse antecedente ad essere ‘buono’, ovvero una persona moralmente corretta. Il tentativo di analisi che svilupperemo qui parte dal presupposto che l’oscenità – e la pornografia che ne rappresenta il caso più rilevante –, pur non configurando spesso un danno immediatamente percettibile ad interessi della persona, sia difficilmente comprensibile attraverso la categoria dell’offense. I significati dell’oscenità, soprattutto pornografica, e le differenti ratio che sono state richiamate a giustificarne la proibizione si possono spiegare adeguatamente soltanto sulla base di un concetto di ‘danno morale’ che, sebbene poco accettabile dal garantismo liberale, è, forse, il modo più plausibile per spiegare perché la moralità sessuale abbia ricevuto nel tempo tanta enfasi penalistica.

ATTI OSCENI E DANNO MORALE

MANGINI, Michele
2010-01-01

Abstract

Qualche breve cenno introduttivo all’ambito delle questioni trattate in questo saggio è doveroso prima di inoltrarsi nella discussione degli aspetti più problematici. Innanzitutto, per sgombrare il campo da equivoci nella comprensione, devo sottolineare che questo non è un lavoro nell’ambito del diritto penale italiano e, quindi, non intende offrire una disamina completa e puntuale delle problematiche relative al delitto degli atti osceni nel diritto italiano né, tantomeno, in ambito di common law anglosassone. Invece, si utilizzano materiali di dottrina e giurisprudenza provenienti da ambedue gli ambiti per una discussione il cui tenore si può ricondurre allo stile filosofico-analitico di tradizione anglosassone, laddove i temi trattati sono temi che richiedono soluzioni normative – e non soltanto analisi linguistiche, come per certa parte della filosofia analitica. In secondo luogo, va precisato che il punto di vista normativo che si assume come punto di riferimento della discussione è quello del liberalismo, quale teoria politica, morale e giuridica. Ciò significa, per anticipare in due parole ciò che merita di ricevere maggiore discussione in seguito, che fa problema – dal punto di vista liberale – qualsiasi limitazione della libertà individuale per ragioni non legate alla protezione di un interesse individuale ben definito. Dunque, è problematica per certi autori liberali la obscenity law nel momento in cui fa riferimento a offenses piuttosto che ad harms. La distinzione non è facilmente traducibile in italiano perché il nostro diritto penale non riconosce né distingue quelle categorie di delitti, in quanto la prospettiva giuspenalistica italiana non corrisponde per tanti versi a quella anglosassone della centralità della libertà individuale rispetto alla quale i limiti imposti dalle norme penali devono essere contenuti quanto possibile. Per certa prospettiva anglosassone, mentre la tutela penale nei casi di danno (harm) appare meno controversa (nonostante tutti i problemi legati alla definizione del concetto), invece per la offense le difficoltà di definire una tutela penalistica e, quindi, limiti alla libertà altrui, deriva dal fatto che il termine è chiamato a “coprire l’intera miscellanea di stati mentali universalmente sgraditi” e certo non tutti possono essere considerati degni di tutela penale. Invece, nel codice penale italiano il delitto di atti osceni rientra nella teoria del reato che ruota intorno alla sua offensività, ovvero alla lesione di interessi tutelati dallo stato, principio accolto anche dalla Costituzione italiana, secondo certa dottrina. È, invece, alle distinzioni di dottrina tra reati senza offesa e senza vittime che dovremmo guardare per cogliere le categorie giuspenalistiche con le quali si affronta l’analisi del delitto di oscenità. In terzo luogo, è importante focalizzare fin d’ora i problemi normativi cui da luogo il concetto di ‘danno morale’ cui facciamo riferimento come categoria filosofico-morale potenzialmente utile a giustificare la sanzione delle oscenità. Nella prospettiva liberale che, come si è detto, si adotta qui le sanzioni penali possono limitare la libertà individuale soltanto quando questa danneggi un ‘interesse’. Il danno (harm) è tale quando colpisce un interesse individuale – ma non soltanto – al benessere, socialmente o economicamente riconoscibile. Il ‘danno morale’ (moral harm) è un concetto assai controverso per il punto di vista liberale perché presuppone che si possa riconoscere ciò che ha valore morale per l’agente, indipendentemente da quel che lei/lui vuole. Gli interessi sono legati a quel che vogliamo, scegliamo, desideriamo e, quindi, dipendono necessariamente dal giudizio dell’agente. Invece, il ‘danno morale’ è un concetto ideal-regarding, legato ad una teoria che definisce ciò che è bene per l’agente indipendentemente dai suoi desideri e volizioni. Il punto di riferimento è nell’etica antica, platonica e aristotelica, secondo la quale un carattere moralmente degradato è un danno per l’agente, quali che siano i suoi effetti sugli interessi dello stesso. Idealmente lo stato deve curarsi di elevare il carattere dei suoi cittadini verso l’eccellenza e, dunque, deve prevenire o punire quel tipo di danni che può limitare lo sviluppo del carattere, appunto il danno morale. In questa accezione intenderemo qui il concetto di ‘danno morale’, sebbene, da un punto di vista liberale, questo concetto ha senso soltanto nella misura in cui l’agente ha un interesse antecedente ad essere ‘buono’, ovvero una persona moralmente corretta. Il tentativo di analisi che svilupperemo qui parte dal presupposto che l’oscenità – e la pornografia che ne rappresenta il caso più rilevante –, pur non configurando spesso un danno immediatamente percettibile ad interessi della persona, sia difficilmente comprensibile attraverso la categoria dell’offense. I significati dell’oscenità, soprattutto pornografica, e le differenti ratio che sono state richiamate a giustificarne la proibizione si possono spiegare adeguatamente soltanto sulla base di un concetto di ‘danno morale’ che, sebbene poco accettabile dal garantismo liberale, è, forse, il modo più plausibile per spiegare perché la moralità sessuale abbia ricevuto nel tempo tanta enfasi penalistica.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/20704
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact