Alla vigilia dell’ultimo conflitto settecentesco tra gli imperi orientali, i governi europei si erano posti il problema del trasporto della corrispondenza diplomatica e commerciale da e per Costantinopoli, sino a quel momento assicurato dalla Posta di Vienna. La mancata demarcazione dei confini bosniaci e le mire espansionistiche di Caterina II, in effetti, erano il preludio di una guerra imminente, che avrebbe potuto modificare lo status quo dei Balcani. La volontà degli ambasciatori accreditati a Costantinopoli di istituire servizi postali con l’Europa aveva un valido sostenitore nell’internunzio imperiale, che si preoccupava di non interrompere il flusso delle spedizioni tra Costantinopoli e Vienna ed appoggiava i vari progetti postali (spagnolo, veneziano e francese), disapprovando le scelte del suo governo di una sinergia postale con Napoli, cosciente della lungimiranza politica dei Ludolf. Il governo austriaco e il barone di Thugut riuscivano a convincere gli interlocutori napoletani della bontà di un piano postale di cui Vienna si avvantaggiava e Napoli pagava le spese. Rimanevano inascoltati, in proposito, i suggerimenti e le proposte prima del vecchio Ludolf e poi anche del figlio - appena incardinato alla guida dell’ambasciata e in aperto contrasto con Acton - di valorizzare la Posta del Levante. Sulla scorta di una inedita documentazione, la “nuova Posta di Turchia” è esaminata tenendo conto della realtà dei Balcani negli ultimi anni del Settecento, di cui le prime riforme sultaniali, i contrasti tra i vari pascià, il banditismo, le aspirazioni autonomistiche, i primi aneliti d’indipendentismo, la presenza della peste e della pirateria che ostacolavano l’internazionalizzazione del commercio e le pretese degli stati europei sui domini osmanlici costituiscono il mirabile sfondo.
La Posta del Levante nella corrispondenza diplomatica tra Costantinopoli e Napoli nel Settecento
PEZZI, Massimiliano
2009-01-01
Abstract
Alla vigilia dell’ultimo conflitto settecentesco tra gli imperi orientali, i governi europei si erano posti il problema del trasporto della corrispondenza diplomatica e commerciale da e per Costantinopoli, sino a quel momento assicurato dalla Posta di Vienna. La mancata demarcazione dei confini bosniaci e le mire espansionistiche di Caterina II, in effetti, erano il preludio di una guerra imminente, che avrebbe potuto modificare lo status quo dei Balcani. La volontà degli ambasciatori accreditati a Costantinopoli di istituire servizi postali con l’Europa aveva un valido sostenitore nell’internunzio imperiale, che si preoccupava di non interrompere il flusso delle spedizioni tra Costantinopoli e Vienna ed appoggiava i vari progetti postali (spagnolo, veneziano e francese), disapprovando le scelte del suo governo di una sinergia postale con Napoli, cosciente della lungimiranza politica dei Ludolf. Il governo austriaco e il barone di Thugut riuscivano a convincere gli interlocutori napoletani della bontà di un piano postale di cui Vienna si avvantaggiava e Napoli pagava le spese. Rimanevano inascoltati, in proposito, i suggerimenti e le proposte prima del vecchio Ludolf e poi anche del figlio - appena incardinato alla guida dell’ambasciata e in aperto contrasto con Acton - di valorizzare la Posta del Levante. Sulla scorta di una inedita documentazione, la “nuova Posta di Turchia” è esaminata tenendo conto della realtà dei Balcani negli ultimi anni del Settecento, di cui le prime riforme sultaniali, i contrasti tra i vari pascià, il banditismo, le aspirazioni autonomistiche, i primi aneliti d’indipendentismo, la presenza della peste e della pirateria che ostacolavano l’internazionalizzazione del commercio e le pretese degli stati europei sui domini osmanlici costituiscono il mirabile sfondo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.