Il saggio dimostra per la prima volta che la ripresa di Dante da parte di Montale si attiene ad alcune costanti, sia in ordine ai flussi quantitativi e qualitativi dei prestiti, sia in ordine alla predilezione di alcuni canti dell’Inferno e del Purgatorio (e solo marginalmente del Paradiso). Si parte dalla considerazione preliminare che il numero dei lemmi montaliani che possono esse-re registrati come genericamente danteschi appare più alto negli Ossi di seppia, mentre si ridu-ce progressivamente di silloge in silloge, in maniera inversamente proporzionale al potenzia-mento retorico e semiotico degli intertesti. Dagli Ossi a La bufera e altro, infatti, col diminuire dei termini di aura dantesca, aumentano la pregnanza, l’evidenza e la preziosità delle immagi-ni colte dal modello che, invece, viene decisamente accantonato in Satura, per poi ritornare nelle ultime raccolte, ma in una veste totalmente rinnovata, caratterizzata dall’ironia e dalla dissimulazione. Negli Ossi di seppia la ricca presenza di dantismi generici andrà spiegata alla luce della ricerca di un sublime tragico di marca diversa da quella melodica di ascendenza pe-trarchesca e poi leopardiana, dalla quale Montale si affranca ancora a fatica, data la consuetu-dine col poeta di Recanati e la robusta influenza esercitata dal suo pessimismo. A mano a mano che il poeta trova un suo proprio stile – quello così inconfondibile delle Occasioni e del-la Bufera e altro –, può fare a meno dell’autorevolezza linguistica del classico, ma non delle suggestioni offerte dalla sua monumentale rappresentazione della storia e della condizione umana, affidata a luoghi, personaggi, allegorie e sintagmi memorabili, che ormai Montale ha fatto propri, reinventandoli all’interno della propria poetica e sovente nascondendovi la chia-ve interpretativa di alcuni enigmi su cui amava imbastire i suoi testi.

Amore cercato, amore perduto: Dante, Beatrice, Montale

PEGORARI, DANIELE MARIA
2007-01-01

Abstract

Il saggio dimostra per la prima volta che la ripresa di Dante da parte di Montale si attiene ad alcune costanti, sia in ordine ai flussi quantitativi e qualitativi dei prestiti, sia in ordine alla predilezione di alcuni canti dell’Inferno e del Purgatorio (e solo marginalmente del Paradiso). Si parte dalla considerazione preliminare che il numero dei lemmi montaliani che possono esse-re registrati come genericamente danteschi appare più alto negli Ossi di seppia, mentre si ridu-ce progressivamente di silloge in silloge, in maniera inversamente proporzionale al potenzia-mento retorico e semiotico degli intertesti. Dagli Ossi a La bufera e altro, infatti, col diminuire dei termini di aura dantesca, aumentano la pregnanza, l’evidenza e la preziosità delle immagi-ni colte dal modello che, invece, viene decisamente accantonato in Satura, per poi ritornare nelle ultime raccolte, ma in una veste totalmente rinnovata, caratterizzata dall’ironia e dalla dissimulazione. Negli Ossi di seppia la ricca presenza di dantismi generici andrà spiegata alla luce della ricerca di un sublime tragico di marca diversa da quella melodica di ascendenza pe-trarchesca e poi leopardiana, dalla quale Montale si affranca ancora a fatica, data la consuetu-dine col poeta di Recanati e la robusta influenza esercitata dal suo pessimismo. A mano a mano che il poeta trova un suo proprio stile – quello così inconfondibile delle Occasioni e del-la Bufera e altro –, può fare a meno dell’autorevolezza linguistica del classico, ma non delle suggestioni offerte dalla sua monumentale rappresentazione della storia e della condizione umana, affidata a luoghi, personaggi, allegorie e sintagmi memorabili, che ormai Montale ha fatto propri, reinventandoli all’interno della propria poetica e sovente nascondendovi la chia-ve interpretativa di alcuni enigmi su cui amava imbastire i suoi testi.
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