Prefazione Chi sarà mai stato il nostro lontano predecessore, centinaia di migliaia di anni fa, quando gli esseri umani vivevano ancora come raccoglitori di frutta e bacche e radici e come cacciatori, che ha scoperto che certi frutti e succhi vegetali erano “buoni” e gradevoli, erano “dolci”. A mano a mano che gli esseri umani, con la rivoluzione del Neolitico, sono passati a vivere come coltivatori e allevatori in capanne e villag- gi, l’addizione di sostanze dolci agli alimenti ha migliorato rapida- mente la qualità del loro cibo. Più avanti ci si sarebbe accorti che mol- te sostanze “dolci” erano anche nutritive. Se, come sostiene giustamente questo libro, il primo dolcificante degli alimenti è stato il miele, si deve riconoscere che c’è voluto molto spi- rito di osservazione, fantasia e anche capacità tecnica, anzi biotecno- logica, come si direbbe oggi, per capire come estrarre il miele, per ri- conoscere la possibilità di conservarlo e infine per capire che si tratta- va di una merce rinnovabile, prodotta ogni anno dallo stesso alveare. Altra biotecnologia sarebbe stata necessaria agli abitanti della lontana India per capire come estrarre una sostanza dolce contenuta fra i nodi di alcune canne spontanee e poi coltivate;; i mercanti avrebbero poi fatto conoscere lo zucchero di canna nel bacino del Mediterraneo, nel- le zone dominate dai Musulmani e poi nell’Europa cristiana, e da qui, ma molto più tardi, cinque secoli fa, nelle Americhe e nelle zona a clima tropicale. La produzione dello zucchero di canna ha dato vita ad estese coltiva- zioni “nelle Americhe”, rese possibili dall’importazione di schiavi a- fricani, e poi al “commercio triangolare” di zucchero greggio dall’America all’Inghilterra e Olanda dove sarebbe stato raffinato, di cianfrusaglie dall’Europa agli schiavisti africani e di schiavi dall’Africa all’America. “Zucchero insanguinato” dalla morte e dal dolore di innumerevoli schiavi fino a quando, ma ormai in tempi vicinissimi a noi, due secoli fa, la crescita delle conoscenze della chimica e della Merceologia ha portato alla scoperta che lo stesso zucchero avrebbe potuto essere e- stratto dalla barbabietola una pianta adatta ai climi temperati. Ci sarebbe voluto il divieto napoleonico di importazione delle merci inglesi e americane in Europa del 1806 per dar vita all’industria dello zucche- ro di barbabietola in Francia e poi in tutta Europa. Il libro mette bene in evidenza la concorrenza che lo zucchero di barbabietola e di canna si sarebbero fatta fino all’attuale situazione in cui lo zucchero di bar- babietola rappresenta soltanto il 20 percento della produzione saccari- fera mondiale, con un declino in quasi tutti i paesi fra cui l’Italia dove pure era attiva una coltivazione della barbabietola e una produzione di zucchero, attività agroindustriali importanti anche nel Mezzogiorno. Il prof. Giuseppe Testoni, che ha coperto la cattedra di Merceologia dell’Università di Bari – la stessa ora coperta dalle autrici di questo li- bro – tenne la prolusione all’anno accademico 1923 con una conferen- za dal titolo “Le merci sintetiche”. Fra le altre ricordò come, in quei primi anni del Novecento, fosse attiva la ricerca di fonti sintetiche al- ternative ai prodotti naturali, spesso di importazione dai paesi allora coloniali, e in questo ambito fu sintetizzata la saccarina, il primo dol- cificante prodotto in laboratorio dapprima per far fronte alla scarsità di zucchero durante la Prima Guerra mondiale, poi diffusa per conto suo. Col progredire del benessere consumistico si sono diffuse le mode dietetiche e i dolcificanti sintetici o artificiali sono stati cercati come alternativi allo zucchero che, per il suo elevato contenuto calorico, cir- ca 16 megajoule per chilogrammo, “facevano ingrassare”. Una storia ricca di contraddizioni perché ben presto si è visto che i dolcificanti sintetici, prima la saccarina, poi i popolari e diffusi ciclammato (anni trenta del Novecento) e aspartame (anni ottanta del Novecento) e poi tutti gli altri, avevano luci e ombre. Ogni nuovo dolcificante sintetico era salutato dapprima con entusia- smo, sostenuto anche da forti campagne pubblicitarie, fino a quando i consumatori si accorgevano di qualche sgradevole effetto secondario e le autorità sanitarie scoprivano qualche effetto biologico indesiderabile, una battaglia nella quale le potenti organizzazioni dei produttori di zuc- chero avevano un ruolo nel contrastare questi invadenti concorrenti. Dagli anni ottanta del Novecento in tutto il mondo è in corso un conti- nuo lavoro per cercare “qualcosa” che abbia potere dolcificante, che non abbia sapori secondari sgradevoli e che non abbia controindica- zioni sanitarie. I vari successi e insuccessi di questo continuo lavoro, di grande interesse dal punto di vista della ricerca chimica e merceo- logica, non ha portato finora ad una produzione massiccia di concor- renti allo zucchero;; essi hanno un mercato soprattutto nei prodotti die- tetici o in certi dolciumi o bevande, ma la loro produzione nel mondo resta ancora, complessivamente, dell’ordine di poco più di 100.000 tonnellate all’anno, rispetto ai 180 milioni di tonnellate della produ- zione annua di zucchero e dei due milioni di tonnellate di produzione mondiale annua di miele. Le due studiose, autrici del presente libro, da anni docenti in quello che è stato il prestigioso Istituto di Merceologia della Facoltà di Eco- nomia e Commercio dell’Università di Bari, ora scomparso nella ri- strutturazione degli studi universitari italiani che ha visto gli insegna- menti merceologici sparpagliati in vari dipartimenti, si sono dedicate per molti anni, fra l’altro, allo studio della storia, della chimica, della produzione e del mercato dai dolcificanti artificiali;; sono così in grado di offrire un quadro esauriente di questo importante settore industriale e commerciale, in continua evoluzione, integrato da utili e aggiornati riferimenti bibliografici. Buona lettura. Professore emerito Giorgio Nebbia
Come rendere dolci gli alimenti
AMICARELLI, Vera;CAMAGGIO, Gigliola
2016-01-01
Abstract
Prefazione Chi sarà mai stato il nostro lontano predecessore, centinaia di migliaia di anni fa, quando gli esseri umani vivevano ancora come raccoglitori di frutta e bacche e radici e come cacciatori, che ha scoperto che certi frutti e succhi vegetali erano “buoni” e gradevoli, erano “dolci”. A mano a mano che gli esseri umani, con la rivoluzione del Neolitico, sono passati a vivere come coltivatori e allevatori in capanne e villag- gi, l’addizione di sostanze dolci agli alimenti ha migliorato rapida- mente la qualità del loro cibo. Più avanti ci si sarebbe accorti che mol- te sostanze “dolci” erano anche nutritive. Se, come sostiene giustamente questo libro, il primo dolcificante degli alimenti è stato il miele, si deve riconoscere che c’è voluto molto spi- rito di osservazione, fantasia e anche capacità tecnica, anzi biotecno- logica, come si direbbe oggi, per capire come estrarre il miele, per ri- conoscere la possibilità di conservarlo e infine per capire che si tratta- va di una merce rinnovabile, prodotta ogni anno dallo stesso alveare. Altra biotecnologia sarebbe stata necessaria agli abitanti della lontana India per capire come estrarre una sostanza dolce contenuta fra i nodi di alcune canne spontanee e poi coltivate;; i mercanti avrebbero poi fatto conoscere lo zucchero di canna nel bacino del Mediterraneo, nel- le zone dominate dai Musulmani e poi nell’Europa cristiana, e da qui, ma molto più tardi, cinque secoli fa, nelle Americhe e nelle zona a clima tropicale. La produzione dello zucchero di canna ha dato vita ad estese coltiva- zioni “nelle Americhe”, rese possibili dall’importazione di schiavi a- fricani, e poi al “commercio triangolare” di zucchero greggio dall’America all’Inghilterra e Olanda dove sarebbe stato raffinato, di cianfrusaglie dall’Europa agli schiavisti africani e di schiavi dall’Africa all’America. “Zucchero insanguinato” dalla morte e dal dolore di innumerevoli schiavi fino a quando, ma ormai in tempi vicinissimi a noi, due secoli fa, la crescita delle conoscenze della chimica e della Merceologia ha portato alla scoperta che lo stesso zucchero avrebbe potuto essere e- stratto dalla barbabietola una pianta adatta ai climi temperati. Ci sarebbe voluto il divieto napoleonico di importazione delle merci inglesi e americane in Europa del 1806 per dar vita all’industria dello zucche- ro di barbabietola in Francia e poi in tutta Europa. Il libro mette bene in evidenza la concorrenza che lo zucchero di barbabietola e di canna si sarebbero fatta fino all’attuale situazione in cui lo zucchero di bar- babietola rappresenta soltanto il 20 percento della produzione saccari- fera mondiale, con un declino in quasi tutti i paesi fra cui l’Italia dove pure era attiva una coltivazione della barbabietola e una produzione di zucchero, attività agroindustriali importanti anche nel Mezzogiorno. Il prof. Giuseppe Testoni, che ha coperto la cattedra di Merceologia dell’Università di Bari – la stessa ora coperta dalle autrici di questo li- bro – tenne la prolusione all’anno accademico 1923 con una conferen- za dal titolo “Le merci sintetiche”. Fra le altre ricordò come, in quei primi anni del Novecento, fosse attiva la ricerca di fonti sintetiche al- ternative ai prodotti naturali, spesso di importazione dai paesi allora coloniali, e in questo ambito fu sintetizzata la saccarina, il primo dol- cificante prodotto in laboratorio dapprima per far fronte alla scarsità di zucchero durante la Prima Guerra mondiale, poi diffusa per conto suo. Col progredire del benessere consumistico si sono diffuse le mode dietetiche e i dolcificanti sintetici o artificiali sono stati cercati come alternativi allo zucchero che, per il suo elevato contenuto calorico, cir- ca 16 megajoule per chilogrammo, “facevano ingrassare”. Una storia ricca di contraddizioni perché ben presto si è visto che i dolcificanti sintetici, prima la saccarina, poi i popolari e diffusi ciclammato (anni trenta del Novecento) e aspartame (anni ottanta del Novecento) e poi tutti gli altri, avevano luci e ombre. Ogni nuovo dolcificante sintetico era salutato dapprima con entusia- smo, sostenuto anche da forti campagne pubblicitarie, fino a quando i consumatori si accorgevano di qualche sgradevole effetto secondario e le autorità sanitarie scoprivano qualche effetto biologico indesiderabile, una battaglia nella quale le potenti organizzazioni dei produttori di zuc- chero avevano un ruolo nel contrastare questi invadenti concorrenti. Dagli anni ottanta del Novecento in tutto il mondo è in corso un conti- nuo lavoro per cercare “qualcosa” che abbia potere dolcificante, che non abbia sapori secondari sgradevoli e che non abbia controindica- zioni sanitarie. I vari successi e insuccessi di questo continuo lavoro, di grande interesse dal punto di vista della ricerca chimica e merceo- logica, non ha portato finora ad una produzione massiccia di concor- renti allo zucchero;; essi hanno un mercato soprattutto nei prodotti die- tetici o in certi dolciumi o bevande, ma la loro produzione nel mondo resta ancora, complessivamente, dell’ordine di poco più di 100.000 tonnellate all’anno, rispetto ai 180 milioni di tonnellate della produ- zione annua di zucchero e dei due milioni di tonnellate di produzione mondiale annua di miele. Le due studiose, autrici del presente libro, da anni docenti in quello che è stato il prestigioso Istituto di Merceologia della Facoltà di Eco- nomia e Commercio dell’Università di Bari, ora scomparso nella ri- strutturazione degli studi universitari italiani che ha visto gli insegna- menti merceologici sparpagliati in vari dipartimenti, si sono dedicate per molti anni, fra l’altro, allo studio della storia, della chimica, della produzione e del mercato dai dolcificanti artificiali;; sono così in grado di offrire un quadro esauriente di questo importante settore industriale e commerciale, in continua evoluzione, integrato da utili e aggiornati riferimenti bibliografici. Buona lettura. Professore emerito Giorgio NebbiaFile | Dimensione | Formato | |
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