Per quanto la cosa possa apparire paradossale il pensiero semiotico di Peirce si sporge su un’ontologia, come l’ha intesa negli ultimi anni Ferraris. Espressioni come “oggetto dinamico”, “ground”, “qualità” indicano in direzione di un inizio, che è impossibile intuire/afferrare, come non si può afferrare la cosa in sé kantiana. Del resto nella stessa fenomenologia/semiotica di Peirce esistono segni come le icone e gli indici, che in ragione della loro genesi si configurano, appunto, come segni che hanno uno stretto legame con l’oggetto, il referente a cui rimandano. Eppure in tutta la semiotica di Peirce non ci sono tracce di un cedimento rispetto alla sua adesione alla tradizione di studi kantiani: non ha senso ragionare intorno a cose che non siamo in grado di intuire, perché l’unica cosa di cui ci possiamo domandare è del modo in cui funziona la nostra mente per costruzioni semiotiche. Lo stesso concetto di “realtà” è il risultato semiotico di un accordo comunitario, pragmaticamente condiviso dalle diverse menti che la pensano, convergendo su una base comune ovvero su uno stesso modo di reagire di fronte al mondo. Resta, tra le maglie della sua semiotica, della sua fenomenologia, della sua faneroscopia un’attenzione ai momenti ‘primi’ del processo cognitivo. In questa direzione va letta la sua semiotica degli indici, nella stessa direzione muovono le sue considerazioni sulla “continuità” reale delle relazioni tra le cose, come ancora la sua idea che la “materia” sia un “pensiero degenerato”. Quello di Peirce è un “realismo ultrascolastico”. L’uomo che scommette ed indovina come vanno a finire le cose, lo può fare, perché è in una linea di continuità con il mondo di cui fa esperienza. Firstness, Secondness parlano ancora nella filosofia di Peirce di questo essere vicino dell’uomo alla natura che lo circonda e che lo induce ad abdurre le regolarità che la contraddistinguono. La stessa attenzione di Peirce al ruolo cognitivo del “caso” vale alla stregua di un ennesimo richiamo alla realtà come a qualcosa che c’è, lì di fronte a noi e che non può essere prevista in tutte le sue variabili. Il saggio ripercorre, lungo i diversi anni della ricerca di Peirce, questo filo logico di connessione con “il reale”: tutto sembra testimoniare in direzione di una relazione con un Lebenswelt, una relazione che è “prima” ed è insieme ai giudizi semiotici che l’uomo può esprimere su di lei. La differenza tra “interpretane immediato” ed “interpretante dinamico” sembra chiudere questo cerchio dell’attenzione di Peirce per questo inizio ‘reale’ della semiosi umana, la cui fenomenologia, tuttavia, resta centrale, senza alcuna tentazione in direzione di una “cosa in sé” che ci appare, sempre, alla luce dei ‘discorsi’ che siamo in grado di fare su di lei.

L'essere del linguaggio, Il linguaggio dell'essere. Saggio su Peirce

SILVESTRI, FILIPPO
2015-01-01

Abstract

Per quanto la cosa possa apparire paradossale il pensiero semiotico di Peirce si sporge su un’ontologia, come l’ha intesa negli ultimi anni Ferraris. Espressioni come “oggetto dinamico”, “ground”, “qualità” indicano in direzione di un inizio, che è impossibile intuire/afferrare, come non si può afferrare la cosa in sé kantiana. Del resto nella stessa fenomenologia/semiotica di Peirce esistono segni come le icone e gli indici, che in ragione della loro genesi si configurano, appunto, come segni che hanno uno stretto legame con l’oggetto, il referente a cui rimandano. Eppure in tutta la semiotica di Peirce non ci sono tracce di un cedimento rispetto alla sua adesione alla tradizione di studi kantiani: non ha senso ragionare intorno a cose che non siamo in grado di intuire, perché l’unica cosa di cui ci possiamo domandare è del modo in cui funziona la nostra mente per costruzioni semiotiche. Lo stesso concetto di “realtà” è il risultato semiotico di un accordo comunitario, pragmaticamente condiviso dalle diverse menti che la pensano, convergendo su una base comune ovvero su uno stesso modo di reagire di fronte al mondo. Resta, tra le maglie della sua semiotica, della sua fenomenologia, della sua faneroscopia un’attenzione ai momenti ‘primi’ del processo cognitivo. In questa direzione va letta la sua semiotica degli indici, nella stessa direzione muovono le sue considerazioni sulla “continuità” reale delle relazioni tra le cose, come ancora la sua idea che la “materia” sia un “pensiero degenerato”. Quello di Peirce è un “realismo ultrascolastico”. L’uomo che scommette ed indovina come vanno a finire le cose, lo può fare, perché è in una linea di continuità con il mondo di cui fa esperienza. Firstness, Secondness parlano ancora nella filosofia di Peirce di questo essere vicino dell’uomo alla natura che lo circonda e che lo induce ad abdurre le regolarità che la contraddistinguono. La stessa attenzione di Peirce al ruolo cognitivo del “caso” vale alla stregua di un ennesimo richiamo alla realtà come a qualcosa che c’è, lì di fronte a noi e che non può essere prevista in tutte le sue variabili. Il saggio ripercorre, lungo i diversi anni della ricerca di Peirce, questo filo logico di connessione con “il reale”: tutto sembra testimoniare in direzione di una relazione con un Lebenswelt, una relazione che è “prima” ed è insieme ai giudizi semiotici che l’uomo può esprimere su di lei. La differenza tra “interpretane immediato” ed “interpretante dinamico” sembra chiudere questo cerchio dell’attenzione di Peirce per questo inizio ‘reale’ della semiosi umana, la cui fenomenologia, tuttavia, resta centrale, senza alcuna tentazione in direzione di una “cosa in sé” che ci appare, sempre, alla luce dei ‘discorsi’ che siamo in grado di fare su di lei.
2015
978-88-98496-90-7
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/189541
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