L’Esposizione del Pater Noster, cioé della cosiddetta oratio dominica raccomandata da Cristo agli apostoli in Mt 6, 9-13, ascrivibile con certezza al principe-guerriero-umanista Belisario Acquaviva d’Aragona, duca di Nardò, è ‘un albero’ della rigogliosa foresta di testi a stampa in volgare di carattere spirituale dei secoli XV-XVI. Il testo spirituale dell’Acquaviva si inserisce in una ‘tradizione’ che vanta illustri precedenti latini come l’Expositio in orationem dominicam di Tommaso d’ Aquino e volgari come L’ Expositione singulare del Pater noster di Giovanni Pico della Mirandola, l’Esposizione del Pater Noster di Girolamo Savonarola, e quella di Antonio De Ferrariis Galateo, avente come dedicataria Isabella d’Aragona Sforza, duchessa di Bari. L’inedito testo religioso in volgare fu realizzato da Belisario Acquaviva allo scopo di raggiungere un pubblico aristocratico più vasto ma con una scarsa conoscenza del latino: donne della famiglia principesca, sposate, nubili, vedove o monacate e dame di corte di illustri natali, per favorirne l’istruzione religiosa, fornendo loro delle direttive comportamentali atte a qualificare non solo la vita spirituale ma anche quella sociale. Si tratta di un pubblico di lettrici di cui doveva far parte anche la fanciulla di origini ebraiche, entrata a far parte della sua famiglia principesca, in quanto diventata sposa, con il suo consenso, di un suo figlio naturale; una fanciulla, dunque, appartenente ad una minoranza che dal XII secolo era stata oggetto nell’Occidente cristiano di processi di marginalizzazione e di esclusione sempre più marcati, che resero i suoi membri degli ‘isolati’, in quanto costretti a vivere in una zona urbana ben delimitata, e dei ‘segnati’, perché obbligati a portare individualmente e pubblicamente un segno distintivo di appartenenza, sino a divenire, in alcuni paesi, oggetto di persecuzioni ed espulsioni di massa. Anche in caso di conversione, su questi individui appellati neofiti, marrani, gravava il sospetto della Chiesa e della comunità cristiana che il loro passaggio al nuovo credo religioso fosse puramente formale, venendo di conseguenza assimilati agli ebrei ‘infedeli’, col rischio di discriminazioni e svalutazione sociale. Le inusitate nozze tra un rampollo di casa Acquaviva d’Aragona e una ‘giudea’ avrebbero potuto intorbidire in qualche modo il ‘limpidissimo’ sangue del lignaggio e gettare un po’ di foschia sulla plurisecolare tradizione religiosa familiare, considerata un elemento rilevante della memoria e dell’identità del casato. Ciononostante Belisario rese possibili quelle nozze, guidato dalla sua profonda spiritualità. Dello scandalo suscitato dall’ingresso di quella ragazza di antico ceppo ebraico, figlia di ebrei convertiti, in una delle famiglie aristocratiche più esclusive del regno, imparentata con i reali aragonesi, si coglie un risonante eco nell’epistola De neophitis, che Galateo dedicò a Belisario Acquaviva. In chiusura della lettera, l’umanista Valentino indirizza parole di conforto al saggio amico, che viene da lui esortato a non curarsi della «garrulitatem vulgi», cioè delle insistenti chiacchiere e ripetute voci sviluppatesi su quelle nozze. Galateo inoltre invita l’amico a tenere cara e ad amare quella fanciulla ebrea, nata da un padre nobile e di buoni principi e da una donna onesta, entrata in famiglia col suo assenso, e lo esorta ad insegnarle i buoni costumi e a istruirla sulla vera e retta fede cristiana. A queste esigenze didattiche ed educative espresse dal Galateo poteva ben rispondere il commento in volgare acquaviviano all’oratio dominica, ritenuta dallo stesso Belisario una ‘sintesi’ emblematica ed efficace dell’essenza della religione e della fede cristiana. Un’ulteriore conferma della sua profonda spiritualità e del suo attaccamento al movimento dell’osservanza francescana (fruitore di testi devozioniali), si rintraccia nell’unica particula superstite del suo testamento. Le prescrizioni in essa presenti ribadiscono in maniera chiara il forte legame spirituale che univa Belisario Acquaviva all’ordine francescano; un legame le cui radici affondano nei molteplici rapporti sviluppati con l’ordine sia dal suo casato sia dal ramo materno della sua ascendenza, gli Orsini del Balzo..
L'albero e il bosco. Alcune notazioni in margine a un testo spirituale del principe umanista Belisario Acquaviva d'Aragona.
Lavarra, Caterina
2016-01-01
Abstract
L’Esposizione del Pater Noster, cioé della cosiddetta oratio dominica raccomandata da Cristo agli apostoli in Mt 6, 9-13, ascrivibile con certezza al principe-guerriero-umanista Belisario Acquaviva d’Aragona, duca di Nardò, è ‘un albero’ della rigogliosa foresta di testi a stampa in volgare di carattere spirituale dei secoli XV-XVI. Il testo spirituale dell’Acquaviva si inserisce in una ‘tradizione’ che vanta illustri precedenti latini come l’Expositio in orationem dominicam di Tommaso d’ Aquino e volgari come L’ Expositione singulare del Pater noster di Giovanni Pico della Mirandola, l’Esposizione del Pater Noster di Girolamo Savonarola, e quella di Antonio De Ferrariis Galateo, avente come dedicataria Isabella d’Aragona Sforza, duchessa di Bari. L’inedito testo religioso in volgare fu realizzato da Belisario Acquaviva allo scopo di raggiungere un pubblico aristocratico più vasto ma con una scarsa conoscenza del latino: donne della famiglia principesca, sposate, nubili, vedove o monacate e dame di corte di illustri natali, per favorirne l’istruzione religiosa, fornendo loro delle direttive comportamentali atte a qualificare non solo la vita spirituale ma anche quella sociale. Si tratta di un pubblico di lettrici di cui doveva far parte anche la fanciulla di origini ebraiche, entrata a far parte della sua famiglia principesca, in quanto diventata sposa, con il suo consenso, di un suo figlio naturale; una fanciulla, dunque, appartenente ad una minoranza che dal XII secolo era stata oggetto nell’Occidente cristiano di processi di marginalizzazione e di esclusione sempre più marcati, che resero i suoi membri degli ‘isolati’, in quanto costretti a vivere in una zona urbana ben delimitata, e dei ‘segnati’, perché obbligati a portare individualmente e pubblicamente un segno distintivo di appartenenza, sino a divenire, in alcuni paesi, oggetto di persecuzioni ed espulsioni di massa. Anche in caso di conversione, su questi individui appellati neofiti, marrani, gravava il sospetto della Chiesa e della comunità cristiana che il loro passaggio al nuovo credo religioso fosse puramente formale, venendo di conseguenza assimilati agli ebrei ‘infedeli’, col rischio di discriminazioni e svalutazione sociale. Le inusitate nozze tra un rampollo di casa Acquaviva d’Aragona e una ‘giudea’ avrebbero potuto intorbidire in qualche modo il ‘limpidissimo’ sangue del lignaggio e gettare un po’ di foschia sulla plurisecolare tradizione religiosa familiare, considerata un elemento rilevante della memoria e dell’identità del casato. Ciononostante Belisario rese possibili quelle nozze, guidato dalla sua profonda spiritualità. Dello scandalo suscitato dall’ingresso di quella ragazza di antico ceppo ebraico, figlia di ebrei convertiti, in una delle famiglie aristocratiche più esclusive del regno, imparentata con i reali aragonesi, si coglie un risonante eco nell’epistola De neophitis, che Galateo dedicò a Belisario Acquaviva. In chiusura della lettera, l’umanista Valentino indirizza parole di conforto al saggio amico, che viene da lui esortato a non curarsi della «garrulitatem vulgi», cioè delle insistenti chiacchiere e ripetute voci sviluppatesi su quelle nozze. Galateo inoltre invita l’amico a tenere cara e ad amare quella fanciulla ebrea, nata da un padre nobile e di buoni principi e da una donna onesta, entrata in famiglia col suo assenso, e lo esorta ad insegnarle i buoni costumi e a istruirla sulla vera e retta fede cristiana. A queste esigenze didattiche ed educative espresse dal Galateo poteva ben rispondere il commento in volgare acquaviviano all’oratio dominica, ritenuta dallo stesso Belisario una ‘sintesi’ emblematica ed efficace dell’essenza della religione e della fede cristiana. Un’ulteriore conferma della sua profonda spiritualità e del suo attaccamento al movimento dell’osservanza francescana (fruitore di testi devozioniali), si rintraccia nell’unica particula superstite del suo testamento. Le prescrizioni in essa presenti ribadiscono in maniera chiara il forte legame spirituale che univa Belisario Acquaviva all’ordine francescano; un legame le cui radici affondano nei molteplici rapporti sviluppati con l’ordine sia dal suo casato sia dal ramo materno della sua ascendenza, gli Orsini del Balzo..File | Dimensione | Formato | |
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