Negli ultimi anni, la dottrina e la giurisprudenza si stanno mostrando sempre più sensibili ed attente verso fenomeni di squilibrio contrattuale. In tali ipotesi, in verità molto frequenti, il legislatore è spesso intervenuto, specialmente in materia di contratti del consumatore o del piccolo professionista, per arginare lo strapotere della parte più forte, di fronte a quella più debole. Tuttavia, tali interventi legislativi, pur significativi, non hanno esaurito il problema, poiché, nei contratti tra parti dotate presuntivamente di uguale potere contrattuale, il giudice non potrebbe quasi mai intervenire, correggendo il contratto, laddove vi siano anche macroscopiche sproporzioni tra le prestazioni. Si è posto così, in dottrina, il problema della “giustizia del contratto”, che non può rimanere solo teorico, ma deve portare a conseguenze concrete nei giudizi che si instaurano tra le parti in conflitto. Da tale punto di vista, c’è da chiedersi se, ed in che modo, il giudice possa intervenire per ristabilire l’equilibrio del contratto, agendo, se del caso, anche d’ufficio. Nel lavoro monografico, che mira a trovare delle possibili risposte al quesito enunciato, grande importanza riveste l’istituto dell’integrazione contrattuale, specie quella giudiziale. Dopo un’approfondita indagine sull’istituto dell’ integrazione, e grazie a preziosi spunti comparatistici tra il nostro sistema giuridico e quello di common law, apparentemente molto “distante” da quello italiano, lo studio si sofferma sul ruolo del principio di buona fede ex art. 1375 c.c., in rapporto all’equità, ex art. 1374 c.c., ed al principio di proporzionalità. I tre principi vengono esaminati, in quanto “potenziali” fonti integrative del contratto, ad opera del potere “creativo” del giudice, anche grazie all’ analisi della giurisprudenza straniera e comunitaria. L’individuazione delle ipotesi tipiche di intervento legislativo e giurisprudenziale, che ha talvolta autorizzato il giudice alla correzione del contratto, consente di superare “antichi” dogmi, quali quello dell’autonomia contrattuale e quello, più risalente, della “volontà” e della “sacertà” del contratto; appare, inoltre possibile, allo stato attuale, ritenere che i principi di buona fede, equità e proporzionalità, ciascuno nel proprio “ambito”, possano essere impiegati dal giudice per riequilibrare contrattazioni sbilanciate, e ristabilire la simmetria negoziale tra le parti, senza che ciò leda l’autonomia contrattuale, anche alla luce delle fondamentali norme della Carta costituzionale.

Eterointegrazione del contratto e potere correttivo del giudice

NANNA, Concetta Maria
2010-01-01

Abstract

Negli ultimi anni, la dottrina e la giurisprudenza si stanno mostrando sempre più sensibili ed attente verso fenomeni di squilibrio contrattuale. In tali ipotesi, in verità molto frequenti, il legislatore è spesso intervenuto, specialmente in materia di contratti del consumatore o del piccolo professionista, per arginare lo strapotere della parte più forte, di fronte a quella più debole. Tuttavia, tali interventi legislativi, pur significativi, non hanno esaurito il problema, poiché, nei contratti tra parti dotate presuntivamente di uguale potere contrattuale, il giudice non potrebbe quasi mai intervenire, correggendo il contratto, laddove vi siano anche macroscopiche sproporzioni tra le prestazioni. Si è posto così, in dottrina, il problema della “giustizia del contratto”, che non può rimanere solo teorico, ma deve portare a conseguenze concrete nei giudizi che si instaurano tra le parti in conflitto. Da tale punto di vista, c’è da chiedersi se, ed in che modo, il giudice possa intervenire per ristabilire l’equilibrio del contratto, agendo, se del caso, anche d’ufficio. Nel lavoro monografico, che mira a trovare delle possibili risposte al quesito enunciato, grande importanza riveste l’istituto dell’integrazione contrattuale, specie quella giudiziale. Dopo un’approfondita indagine sull’istituto dell’ integrazione, e grazie a preziosi spunti comparatistici tra il nostro sistema giuridico e quello di common law, apparentemente molto “distante” da quello italiano, lo studio si sofferma sul ruolo del principio di buona fede ex art. 1375 c.c., in rapporto all’equità, ex art. 1374 c.c., ed al principio di proporzionalità. I tre principi vengono esaminati, in quanto “potenziali” fonti integrative del contratto, ad opera del potere “creativo” del giudice, anche grazie all’ analisi della giurisprudenza straniera e comunitaria. L’individuazione delle ipotesi tipiche di intervento legislativo e giurisprudenziale, che ha talvolta autorizzato il giudice alla correzione del contratto, consente di superare “antichi” dogmi, quali quello dell’autonomia contrattuale e quello, più risalente, della “volontà” e della “sacertà” del contratto; appare, inoltre possibile, allo stato attuale, ritenere che i principi di buona fede, equità e proporzionalità, ciascuno nel proprio “ambito”, possano essere impiegati dal giudice per riequilibrare contrattazioni sbilanciate, e ristabilire la simmetria negoziale tra le parti, senza che ciò leda l’autonomia contrattuale, anche alla luce delle fondamentali norme della Carta costituzionale.
2010
978-88-13-30216-0
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