Il principio di non discriminazione in base alla nazionalità ha da sempre giocato un ruolo essenziale nella concreta realizzazione dei diritti riconosciuti dal Trattato istitutivo della Comunità europea e da quelli modificativi dello stesso. La copiosa giurisprudenza in materia è indice dell’indiscutibile valore di tale principio. Attraverso l’applicazione del principio di non discriminazione la Corte di giustizia UE ha garantito un’effettiva tutela in tutte quelle situazioni che presentavano elementi di collegamento col diritto UE, seppure prima facie potessero apparire estranee rispetto a tale diritto. L’istituzione della cittadinanza europea insieme allo sviluppo giurisprudenziale hanno consentito di estendere ulteriormente l’applicazione del principio, poiché in determinati casi lo status di cittadino dell’Unione ha costituito l’elemento centrale del ragionamento della Corte che ha condotto all’applicazione del diritto UE. La Corte però si è giustamente autolimitata rispetto a situazioni “puramente interne” per cui non mancano casi di discriminazioni a rovescio: ancora oggi si potrebbero creare dei trattamenti differenziati di cittadini europei rispetto a cittadini nazionali. Nel lavoro si illustra come l’attività interpretativa della Corte di giustizia abbia influito sull’operare del principio di non discriminazione per rendere effettivi i diritti previsti dallo speciale “statuto” della cittadinanza europea anche rispetto ai cittadini “statici”. Particolare attenzione è dedicata altresì ai limiti all’operatività di tale principio derivanti sia dall’esistenza di situazioni che sfuggono all’applicazione del diritto UE, sia dalla “legittimità” e dalla “necessità” del trattamento differenziato. Lo scopo principale dell’indagine è accertare se attraverso l’applicazione del principio di non discriminazione lo statuto dei cittadini europei diventi concretamente più “vicino” a quello dei cittadini nazionali “sedentari” o se a causa dei limiti alla sua operatività continuino a sussistere importanti differenze di trattamento. Si evidenzia peraltro come l’applicazione del principio abbia influito positivamente nell’affermazione di una maggiore solidarietà tra i cittadini dell’UE al punto da limitare il più possibile le discriminazioni (comprese quelle a rovescio). In alcuni casi, infatti, il principio di non discriminazione ha offerto l’impulso necessario a stabilire una parità tra cittadini europei e nazionali: un chiaro esempio è dato dalla situazione italiana in cui in un primo momento grazie agli interventi della Corte costituzionale e, successivamente, con modifiche legislative si è garantita una parità di trattamento, migliorando la situazione dei cittadini italiani che altrimenti avrebbero potuto subire una discriminazione alla rovescia rispetto ai cittadini dell’Unione.

L’uguaglianza tra cittadini europei? Una nuova sfida per un problema annoso

DI COMITE, Valeria
2011-01-01

Abstract

Il principio di non discriminazione in base alla nazionalità ha da sempre giocato un ruolo essenziale nella concreta realizzazione dei diritti riconosciuti dal Trattato istitutivo della Comunità europea e da quelli modificativi dello stesso. La copiosa giurisprudenza in materia è indice dell’indiscutibile valore di tale principio. Attraverso l’applicazione del principio di non discriminazione la Corte di giustizia UE ha garantito un’effettiva tutela in tutte quelle situazioni che presentavano elementi di collegamento col diritto UE, seppure prima facie potessero apparire estranee rispetto a tale diritto. L’istituzione della cittadinanza europea insieme allo sviluppo giurisprudenziale hanno consentito di estendere ulteriormente l’applicazione del principio, poiché in determinati casi lo status di cittadino dell’Unione ha costituito l’elemento centrale del ragionamento della Corte che ha condotto all’applicazione del diritto UE. La Corte però si è giustamente autolimitata rispetto a situazioni “puramente interne” per cui non mancano casi di discriminazioni a rovescio: ancora oggi si potrebbero creare dei trattamenti differenziati di cittadini europei rispetto a cittadini nazionali. Nel lavoro si illustra come l’attività interpretativa della Corte di giustizia abbia influito sull’operare del principio di non discriminazione per rendere effettivi i diritti previsti dallo speciale “statuto” della cittadinanza europea anche rispetto ai cittadini “statici”. Particolare attenzione è dedicata altresì ai limiti all’operatività di tale principio derivanti sia dall’esistenza di situazioni che sfuggono all’applicazione del diritto UE, sia dalla “legittimità” e dalla “necessità” del trattamento differenziato. Lo scopo principale dell’indagine è accertare se attraverso l’applicazione del principio di non discriminazione lo statuto dei cittadini europei diventi concretamente più “vicino” a quello dei cittadini nazionali “sedentari” o se a causa dei limiti alla sua operatività continuino a sussistere importanti differenze di trattamento. Si evidenzia peraltro come l’applicazione del principio abbia influito positivamente nell’affermazione di una maggiore solidarietà tra i cittadini dell’UE al punto da limitare il più possibile le discriminazioni (comprese quelle a rovescio). In alcuni casi, infatti, il principio di non discriminazione ha offerto l’impulso necessario a stabilire una parità tra cittadini europei e nazionali: un chiaro esempio è dato dalla situazione italiana in cui in un primo momento grazie agli interventi della Corte costituzionale e, successivamente, con modifiche legislative si è garantita una parità di trattamento, migliorando la situazione dei cittadini italiani che altrimenti avrebbero potuto subire una discriminazione alla rovescia rispetto ai cittadini dell’Unione.
2011
978-88-6611-055-2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/149989
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