Sulla scorta della rassegna della letteratura prevalentemente internazionale, l’articolo mette in evidenza lo scarto tra l’organizzazione e la portata globale dell’attività delle imprese e la regolazione del lavoro che continua ad essere disciplinata primariamente su scala nazionale. In questo quadro, la domanda di regolazione manifestatasi si è tradotta nell’espansione, tra gli altri, di codici di condotta, certificazioni di qualità, standard di gestione e rendicontazione. Seppure inizialmente osteggiata, questa forma privatistica di regolazione ha successivamente incontrato il favore delle imprese che hanno accettato di farsi carico di una serie di costi ed esternalità sociali legati alle loro attività anche per evitare i vincoli, ben più stringenti, derivanti dalle legislazioni statuali. Ad esercitare pressione sulle imprese in tal senso sono state molte Organizzazioni non governative (ONG) pro-lavoratori, facendo leva sulla cosiddetta brand dependency. L’articolo sostiene che la regolazione privatistica risulta largamente inadeguata a tutelare il lavoro nelle imprese globali. La natura volontaristica dello strumento ed il contenuto regolatorio formale piuttosto che sostanziale rendono estremamente incerta la difesa dei diritti dei lavoratori e della democrazia nei luoghi di lavoro. Esso passa poi ad esaminare un’altra strategia di regolazione del lavoro emersa in risposta alla transnazionalità dell’attività economico-produttiva delle imprese e cioè gli Accordi Quadro Internazionali (AQI o International Framework Agreements -IFA). In questo caso, la regolazione del lavoro viene negoziata tra le imprese multinazionali e le organizzazioni sindacali globali e consiste in una contrattazione a livello transnazionale. L’articolo si interroga sulle prospettive di questo strumento, mettendone in evidenza le potenzialità ed i limiti.

Strategie di regolazione transnazionale del lavoro: l’inadeguatezza dell’opzione privatistica e l’opportunità del dialogo sociale globale

GRECO, Lidia
2011-01-01

Abstract

Sulla scorta della rassegna della letteratura prevalentemente internazionale, l’articolo mette in evidenza lo scarto tra l’organizzazione e la portata globale dell’attività delle imprese e la regolazione del lavoro che continua ad essere disciplinata primariamente su scala nazionale. In questo quadro, la domanda di regolazione manifestatasi si è tradotta nell’espansione, tra gli altri, di codici di condotta, certificazioni di qualità, standard di gestione e rendicontazione. Seppure inizialmente osteggiata, questa forma privatistica di regolazione ha successivamente incontrato il favore delle imprese che hanno accettato di farsi carico di una serie di costi ed esternalità sociali legati alle loro attività anche per evitare i vincoli, ben più stringenti, derivanti dalle legislazioni statuali. Ad esercitare pressione sulle imprese in tal senso sono state molte Organizzazioni non governative (ONG) pro-lavoratori, facendo leva sulla cosiddetta brand dependency. L’articolo sostiene che la regolazione privatistica risulta largamente inadeguata a tutelare il lavoro nelle imprese globali. La natura volontaristica dello strumento ed il contenuto regolatorio formale piuttosto che sostanziale rendono estremamente incerta la difesa dei diritti dei lavoratori e della democrazia nei luoghi di lavoro. Esso passa poi ad esaminare un’altra strategia di regolazione del lavoro emersa in risposta alla transnazionalità dell’attività economico-produttiva delle imprese e cioè gli Accordi Quadro Internazionali (AQI o International Framework Agreements -IFA). In questo caso, la regolazione del lavoro viene negoziata tra le imprese multinazionali e le organizzazioni sindacali globali e consiste in una contrattazione a livello transnazionale. L’articolo si interroga sulle prospettive di questo strumento, mettendone in evidenza le potenzialità ed i limiti.
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