Negli ultimi anni, in Italia, le ricerche attinenti alla storia delle donne hanno conosciuto un notevole sviluppo e una gran “fortuna” sul piano editoriale. Un importante fulcro d’interesse della storia delle donne è ora rappresentato dagli studi sul monachesimo femminile, ma sono ancora molto pochi i saggi che si riferiscono alla condizione monastica femminile nel Mezzogiorno d’Italia e quasi inesistenti, per la medesima aria geografica, i contributi sul tema ”donne e potere”, che recentemente è andato calamitando l’attenzione degli storici. Il saggio fornisce, soprattutto tramite l’analisi delle superstiti pergamene inedite del monastero benedettino femminile beneventano di S. Maria di Porta Somma, elementi interessanti sulla condizione femminile nel Mezzogiorno normanno, ma anche una nutrita serie di dati che possono contribuire a dare un’idea efficace di quel che fu il potere di alcune donne in ambito monastico nel XII secolo. Di particolare interesse appare il badessato di Betlemme, figlia del conte Gerardo di Greci, (un esponente di primo piano della nobiltà normanna, imparentato con gli Altavilla) che, per più di 60 anni, resse le sorti del cenobio mariano. Indotta molto probabilmente a prendere il velo dalle strategie familiari del suo gruppo parentale, in quanto la nobiltà normanna veniva avvantaggiata sul piano sociale dall’inserimento prestigioso di propri membri ai vertici di enti monastici, Betlemme, grazie alla sua longevità, assicurò al monastero, pur tra il turbinio degli eventi esterni, politici e non, una vita caratterizzata da una sostanziale continuità, priva per un lunghissimo tempo di rischi di frattura, cioè di occasioni di crisi innescate da un evento fisiologico quale poteva essere la morte della badessa in carica e l’elezione di una nuova badessa. Il che può aver contribuito a rafforzare la sua autorità, peraltro fondata su un forte potere familiare, sulle protezioni potenti del suo clan parentale e sul sostegno di altre famiglie aristocratiche normanne a lei legate da rapporti di solidarietà. Betlemme mostrò grandi capacità di governo e seppe attuare una oculata politica economica puntando sull’agricoltura e sul notevole ampliamento del patrimonio terriero monastico. Ella, infatti, grazie a donazioni di provenienza feudale si creò, precocemente, un certo numero di dipendenze, vaste e articolate, dislocate in territori lontani dalla città del Calore (il grosso delle acquisizioni si collocava nell’alta Irpinia, nell’attuale provincia di Avellino), in zone caratterizzate da attività agricole ampie ed estese. A questi vasti domini vanno aggiunti gli estesi possedimenti che erano già in possesso del cenobio nel territorio di Benevento. Dunque, estensioni di terre, beni immobili, e chiese (oltre a quella di S. Maria immediatamente collegata al monastero, erano ben cinque le chiese, governate dalla nostra badessa), a cui facevano capo una fitta rete di attività e un congruo numero di uomini. Oltre ai compiti relativi alla gestione del cospicuo patrimonio monastico, dalla cui buona conduzione dipendeva il benessere materiale della comunità, e oltre all’esercizio di prerogative di natura religiosa sulle chiese ad essa soggette, la badessa «Bethlem» doveva esercitare anche consistenti diritti e poteri nei territori extraurbani di sua competenza: diritti di signoria, poteri giurisdizionali di natura civile non diversamente da quanto facevano sua nipote, la «Domina Montis Falconis» andata in sposa ad un barone normanno, e gli altri signori laici ed ecclesiastici del tempo sui loro possedimenti. Quello di Betlemme era dunque un potere ampio che traeva forza sia dalla qualità dei suoi legami familiari sia dai legami consolidati con alcune potenti famiglie della feudalità normanna, in modo particolare con quella dei baroni di Flumeri, Trevico e Vallata, che non si spezzarono neanche dopo la sua morte. Grazie all’analisi delle chartae inerenti ai badessati successivi a quello di Betlemme è stato possibile ricostruire l’ulteriore processo di espansione del ricco e consolidato patrimonio della comunità monastica di S. Maria. Da esse appare chiaro che nel passaggio dall’età normanno-sveva alla prima età angioina il monastero riuscì a mantenere i rapporti di solidarietà da tempo consolidati, ad es. con i signori di Flumeri, Trevico e Vallata, ma anche ad instaurarne di nuovi con altri esponenti di famiglie feudali (i signori di S. Angelo di Radiginosa nel territorio di Civitate), che esercitarono su di esso forme di controllo e nel contempo di sostegno con l’elargizione di ulteriori donazioni.

Potere monastico femminile nel Mezzogiorno normanno: la badessa Betlemme

LAVARRA, Caterina
2010-01-01

Abstract

Negli ultimi anni, in Italia, le ricerche attinenti alla storia delle donne hanno conosciuto un notevole sviluppo e una gran “fortuna” sul piano editoriale. Un importante fulcro d’interesse della storia delle donne è ora rappresentato dagli studi sul monachesimo femminile, ma sono ancora molto pochi i saggi che si riferiscono alla condizione monastica femminile nel Mezzogiorno d’Italia e quasi inesistenti, per la medesima aria geografica, i contributi sul tema ”donne e potere”, che recentemente è andato calamitando l’attenzione degli storici. Il saggio fornisce, soprattutto tramite l’analisi delle superstiti pergamene inedite del monastero benedettino femminile beneventano di S. Maria di Porta Somma, elementi interessanti sulla condizione femminile nel Mezzogiorno normanno, ma anche una nutrita serie di dati che possono contribuire a dare un’idea efficace di quel che fu il potere di alcune donne in ambito monastico nel XII secolo. Di particolare interesse appare il badessato di Betlemme, figlia del conte Gerardo di Greci, (un esponente di primo piano della nobiltà normanna, imparentato con gli Altavilla) che, per più di 60 anni, resse le sorti del cenobio mariano. Indotta molto probabilmente a prendere il velo dalle strategie familiari del suo gruppo parentale, in quanto la nobiltà normanna veniva avvantaggiata sul piano sociale dall’inserimento prestigioso di propri membri ai vertici di enti monastici, Betlemme, grazie alla sua longevità, assicurò al monastero, pur tra il turbinio degli eventi esterni, politici e non, una vita caratterizzata da una sostanziale continuità, priva per un lunghissimo tempo di rischi di frattura, cioè di occasioni di crisi innescate da un evento fisiologico quale poteva essere la morte della badessa in carica e l’elezione di una nuova badessa. Il che può aver contribuito a rafforzare la sua autorità, peraltro fondata su un forte potere familiare, sulle protezioni potenti del suo clan parentale e sul sostegno di altre famiglie aristocratiche normanne a lei legate da rapporti di solidarietà. Betlemme mostrò grandi capacità di governo e seppe attuare una oculata politica economica puntando sull’agricoltura e sul notevole ampliamento del patrimonio terriero monastico. Ella, infatti, grazie a donazioni di provenienza feudale si creò, precocemente, un certo numero di dipendenze, vaste e articolate, dislocate in territori lontani dalla città del Calore (il grosso delle acquisizioni si collocava nell’alta Irpinia, nell’attuale provincia di Avellino), in zone caratterizzate da attività agricole ampie ed estese. A questi vasti domini vanno aggiunti gli estesi possedimenti che erano già in possesso del cenobio nel territorio di Benevento. Dunque, estensioni di terre, beni immobili, e chiese (oltre a quella di S. Maria immediatamente collegata al monastero, erano ben cinque le chiese, governate dalla nostra badessa), a cui facevano capo una fitta rete di attività e un congruo numero di uomini. Oltre ai compiti relativi alla gestione del cospicuo patrimonio monastico, dalla cui buona conduzione dipendeva il benessere materiale della comunità, e oltre all’esercizio di prerogative di natura religiosa sulle chiese ad essa soggette, la badessa «Bethlem» doveva esercitare anche consistenti diritti e poteri nei territori extraurbani di sua competenza: diritti di signoria, poteri giurisdizionali di natura civile non diversamente da quanto facevano sua nipote, la «Domina Montis Falconis» andata in sposa ad un barone normanno, e gli altri signori laici ed ecclesiastici del tempo sui loro possedimenti. Quello di Betlemme era dunque un potere ampio che traeva forza sia dalla qualità dei suoi legami familiari sia dai legami consolidati con alcune potenti famiglie della feudalità normanna, in modo particolare con quella dei baroni di Flumeri, Trevico e Vallata, che non si spezzarono neanche dopo la sua morte. Grazie all’analisi delle chartae inerenti ai badessati successivi a quello di Betlemme è stato possibile ricostruire l’ulteriore processo di espansione del ricco e consolidato patrimonio della comunità monastica di S. Maria. Da esse appare chiaro che nel passaggio dall’età normanno-sveva alla prima età angioina il monastero riuscì a mantenere i rapporti di solidarietà da tempo consolidati, ad es. con i signori di Flumeri, Trevico e Vallata, ma anche ad instaurarne di nuovi con altri esponenti di famiglie feudali (i signori di S. Angelo di Radiginosa nel territorio di Civitate), che esercitarono su di esso forme di controllo e nel contempo di sostegno con l’elargizione di ulteriori donazioni.
2010
978-88-8334-420-6
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