Negli anni Sessanta, molte volte la rappresentazione cinematografica si è concentrata su maschere grottesche maschili che hanno contribuito a raccontare il malessere di una società popolata da individui deboli. Questo articolo propone l'analisi di una maschera femminile, quella incarnata di Sandra Milo, la cui immagine grottesca, nei film interpretati in quel decennio, è la testimonianza irriverente di un mondo alla rovescia in cui le gerarchie sessuali vengono ribaltate e le regole sociali contraddette. I ruoli che le vengono affidati contribuiscono a costruire una immagine di donna sempre più sessualizzata che transita dall’essere oggetto dello sguardo maschile a essere soggetto desiderante. La sua maschera tragicomica inizia a caratterizzarsi come eccentrica e sfuggente entro quella che si potrebbe definire una prolifica stagione di film d’autore. Ma è l’incontro cruciale con Federico Fellini a trasformarla davvero in una seduttrice seriale. In 8 ½ (1963) il regista pigmalione la cristallizza nella prosperosa effige della lussuria. Attraverso quello che è stato definito il gusto barocco felliniano si delineano anche i tre personaggi che Sandra Milo interpreta in Giulietta degli spiriti (1965). Tre donne che, in maniera diversa, incarnano la sensualità. La rinnovata curiosità sessuale di Giulietta, inibita dai sensi di colpa, si materializza nella figura della Milo che sembra la chiave attraverso cui raccontare nuove forme di sessualità possibili. Il corpo erotico dell’attrice scivola così da oggetto a soggetto del desiderio, assumendo di volta in volta un ruolo passivo o attivo nel rapportarsi all’altro sesso. In tal senso diviene materia plastica originale nel panorama cinematografico di quegli anni, interessante identità fluida erotizzata che saprà trovare collocazione in altre filmografie eccellenti proponendosi come emblema di una esplicita forza sessuale. Nei film cui la Milo parteciperà dopo le esperienze felliniane, l’asse della sua determinazione identitaria si sposterà prevalentemente sul versante dell’attivismo e del controllo sessuale e la porterà sempre più a indossare una maschera grottesca che possiamo definire dongiovannesca. La questione riguarda anche la costruzione fisica dei personaggi interpretati dall’attrice. Dopo il successo di 8 ½ , Pietrangeli la dirige in La visita (1963), film che porta su di sé tutti i segni della commedia di largo consumo di quegli anni, dalla canzonetta in colonna sonora al trucco grottesco dei personaggi. Ma l’attenzione sociologica del regista ricade soprattutto su questa figura di donna che esprime una tensione tra libertà sessuale ostentata e bisogno di aderire ancora ai modelli culturali dominanti. Viene diretta nello stesso anno da Luigi Zampa in Frenesia dell’estate (1964), una commedia balneare in cui, ancora una volta, incarna la sensualità fatta persona, ossia un personaggio popolare che vende calde brioche e bomboloni sulle spiagge, intrattenendo i bagnanti col suo fare da amante perfetta. Lavora, poi, per Dino Risi nella commedia grottesca L’ombrellone (1965), una fotografia satura e sovraesposta dell’Italia del boom che rivela l’inquietudine nascosta dietro la patina godereccia di una società impreparata ad affrontare così tanta abbondanza. Anche Una donna dolce dolce, episodio di La donna è una cosa meravigliosa (1964) di Mauro Bolognini, è un film grottesco che affida alla Milo il ruolo di una donna che non è riuscita ad avere figli e vede nel marito il bambino che lo stesso non ha saputo darle, lo “trasforma” e lo fa regredire allo stadio infantile, con tragiche conseguenze. Considerato alla sua uscita un «pamphlet antifemminista», il film veste ancora una volta l’attrice del ruolo della manipolatrice, di colei che sa come gestire un uomo indebolito e completamente alla sua mercé. Ruoli simili sono stati interpretati da Sandra Milo anche nella seconda parte del decennio, in alcuni film di genere che hanno usato il suo corpo trasgressivo per raccontare una femminilità predatoria. È interessante l’insistenza di tanti autori nel voler utilizzare il suo corpo attoriale inseguendo modelli non più attuali di femminilità. Il processo di formalizzazione della attrice come diva italiana, infatti, sembra essersi affermato nella condizione di chi, resistendo al superamento del paradigma delle maggiorate, ha ecceduto quel modello, restando imbrigliata nelle maglie della sua costruzione divistica sessualizzata. Queste esperienze, tuttavia, se da un lato hanno contribuito a mitizzare la sua immagine, dall’altro l’hanno allontanata da ogni prospettiva di carriera fondata su mere qualità interpretative. Corpo ingombrante quello di Sandra Milo: gigantesco “prodotto” manipolato dai cineasti maschi, tuttavia è stato un golem che ha continuamente evaso la sua determinazione. Nel provare a sfuggire al controllo demiurgico del regista creatore ha finito per approdare, adattandosi, in altri luoghi della mediasfera. Il suo corpo di attrice, negli anni, si è trasformato in corpo pubblicitario, in corpo televisivo, in corpo politico, provando ad anticipare, senza riuscirci, forme di emancipazione ancora di là da venire.

“Una donna dongiovanni”. Deformazioni grottesche del corpo erotico di Sandra Milo nel cinema italiano dei primi anni Sessanta

Saponari Angela Bianca
2020-01-01

Abstract

Negli anni Sessanta, molte volte la rappresentazione cinematografica si è concentrata su maschere grottesche maschili che hanno contribuito a raccontare il malessere di una società popolata da individui deboli. Questo articolo propone l'analisi di una maschera femminile, quella incarnata di Sandra Milo, la cui immagine grottesca, nei film interpretati in quel decennio, è la testimonianza irriverente di un mondo alla rovescia in cui le gerarchie sessuali vengono ribaltate e le regole sociali contraddette. I ruoli che le vengono affidati contribuiscono a costruire una immagine di donna sempre più sessualizzata che transita dall’essere oggetto dello sguardo maschile a essere soggetto desiderante. La sua maschera tragicomica inizia a caratterizzarsi come eccentrica e sfuggente entro quella che si potrebbe definire una prolifica stagione di film d’autore. Ma è l’incontro cruciale con Federico Fellini a trasformarla davvero in una seduttrice seriale. In 8 ½ (1963) il regista pigmalione la cristallizza nella prosperosa effige della lussuria. Attraverso quello che è stato definito il gusto barocco felliniano si delineano anche i tre personaggi che Sandra Milo interpreta in Giulietta degli spiriti (1965). Tre donne che, in maniera diversa, incarnano la sensualità. La rinnovata curiosità sessuale di Giulietta, inibita dai sensi di colpa, si materializza nella figura della Milo che sembra la chiave attraverso cui raccontare nuove forme di sessualità possibili. Il corpo erotico dell’attrice scivola così da oggetto a soggetto del desiderio, assumendo di volta in volta un ruolo passivo o attivo nel rapportarsi all’altro sesso. In tal senso diviene materia plastica originale nel panorama cinematografico di quegli anni, interessante identità fluida erotizzata che saprà trovare collocazione in altre filmografie eccellenti proponendosi come emblema di una esplicita forza sessuale. Nei film cui la Milo parteciperà dopo le esperienze felliniane, l’asse della sua determinazione identitaria si sposterà prevalentemente sul versante dell’attivismo e del controllo sessuale e la porterà sempre più a indossare una maschera grottesca che possiamo definire dongiovannesca. La questione riguarda anche la costruzione fisica dei personaggi interpretati dall’attrice. Dopo il successo di 8 ½ , Pietrangeli la dirige in La visita (1963), film che porta su di sé tutti i segni della commedia di largo consumo di quegli anni, dalla canzonetta in colonna sonora al trucco grottesco dei personaggi. Ma l’attenzione sociologica del regista ricade soprattutto su questa figura di donna che esprime una tensione tra libertà sessuale ostentata e bisogno di aderire ancora ai modelli culturali dominanti. Viene diretta nello stesso anno da Luigi Zampa in Frenesia dell’estate (1964), una commedia balneare in cui, ancora una volta, incarna la sensualità fatta persona, ossia un personaggio popolare che vende calde brioche e bomboloni sulle spiagge, intrattenendo i bagnanti col suo fare da amante perfetta. Lavora, poi, per Dino Risi nella commedia grottesca L’ombrellone (1965), una fotografia satura e sovraesposta dell’Italia del boom che rivela l’inquietudine nascosta dietro la patina godereccia di una società impreparata ad affrontare così tanta abbondanza. Anche Una donna dolce dolce, episodio di La donna è una cosa meravigliosa (1964) di Mauro Bolognini, è un film grottesco che affida alla Milo il ruolo di una donna che non è riuscita ad avere figli e vede nel marito il bambino che lo stesso non ha saputo darle, lo “trasforma” e lo fa regredire allo stadio infantile, con tragiche conseguenze. Considerato alla sua uscita un «pamphlet antifemminista», il film veste ancora una volta l’attrice del ruolo della manipolatrice, di colei che sa come gestire un uomo indebolito e completamente alla sua mercé. Ruoli simili sono stati interpretati da Sandra Milo anche nella seconda parte del decennio, in alcuni film di genere che hanno usato il suo corpo trasgressivo per raccontare una femminilità predatoria. È interessante l’insistenza di tanti autori nel voler utilizzare il suo corpo attoriale inseguendo modelli non più attuali di femminilità. Il processo di formalizzazione della attrice come diva italiana, infatti, sembra essersi affermato nella condizione di chi, resistendo al superamento del paradigma delle maggiorate, ha ecceduto quel modello, restando imbrigliata nelle maglie della sua costruzione divistica sessualizzata. Queste esperienze, tuttavia, se da un lato hanno contribuito a mitizzare la sua immagine, dall’altro l’hanno allontanata da ogni prospettiva di carriera fondata su mere qualità interpretative. Corpo ingombrante quello di Sandra Milo: gigantesco “prodotto” manipolato dai cineasti maschi, tuttavia è stato un golem che ha continuamente evaso la sua determinazione. Nel provare a sfuggire al controllo demiurgico del regista creatore ha finito per approdare, adattandosi, in altri luoghi della mediasfera. Il suo corpo di attrice, negli anni, si è trasformato in corpo pubblicitario, in corpo televisivo, in corpo politico, provando ad anticipare, senza riuscirci, forme di emancipazione ancora di là da venire.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11586/382477
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