Il saggio affronta in chiave critica la tradizionale posizione della giurisprudenza in ordine alla prova della scientia decoctionis in tema di revocatorie fallimentari. Infatti, con riguardo agli atti “normali”, di cui al secondo comma dell’art. 67 l.fall., l’affermazione di principio, secondo la quale il curatore deve fornire la prova della effettiva conoscenza della situazione di insolvenza del debitore da parte del terzo “revocando”, viene degradata in concreto a mera possibilità di conoscere, la quale, poi, viene declinata con particolare rigore nel caso in cui il terzo sia un creditore qualificato (es. una banca). Dopo aver negato, a fronte del compimento di un atto “normale”, l’esistenza di un dovere ovvero di un onere di diligenza (di indagare sulla situazione patrimoniale della controparte) a carico del creditore, si perviene alla conclusione per cui il curatore non può limitarsi a dimostrare che i fatti sintomatici dell’insolvenza erano potenzialmente conoscibili dal creditore, ma deve fornire la prova che sono stati effettivamente conosciuti. Diversa è ovviamente la situazione rispetto al compimento degli atti di cui al primo comma dell’art. 67, la cui “anormalità” impone al terzo di attivarsi, in rapporto alle sue caratteristiche personali, per assumere informazioni sulla situazione del debitore, al fine di dimostrare che lo stato di insolvenza non era da lui conoscibile.

La prova della scientia decoctionis nella disciplina delle revocatorie fallimentari

SABATELLI, Emma
2008-01-01

Abstract

Il saggio affronta in chiave critica la tradizionale posizione della giurisprudenza in ordine alla prova della scientia decoctionis in tema di revocatorie fallimentari. Infatti, con riguardo agli atti “normali”, di cui al secondo comma dell’art. 67 l.fall., l’affermazione di principio, secondo la quale il curatore deve fornire la prova della effettiva conoscenza della situazione di insolvenza del debitore da parte del terzo “revocando”, viene degradata in concreto a mera possibilità di conoscere, la quale, poi, viene declinata con particolare rigore nel caso in cui il terzo sia un creditore qualificato (es. una banca). Dopo aver negato, a fronte del compimento di un atto “normale”, l’esistenza di un dovere ovvero di un onere di diligenza (di indagare sulla situazione patrimoniale della controparte) a carico del creditore, si perviene alla conclusione per cui il curatore non può limitarsi a dimostrare che i fatti sintomatici dell’insolvenza erano potenzialmente conoscibili dal creditore, ma deve fornire la prova che sono stati effettivamente conosciuti. Diversa è ovviamente la situazione rispetto al compimento degli atti di cui al primo comma dell’art. 67, la cui “anormalità” impone al terzo di attivarsi, in rapporto alle sue caratteristiche personali, per assumere informazioni sulla situazione del debitore, al fine di dimostrare che lo stato di insolvenza non era da lui conoscibile.
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