L’opera prende in esame il diritto penale degli intermediari finanziari, tradizionalmente definito come settore speciale sia del diritto punitivo sia del diritto societario, e ne denuncia l’anti-sistematicità, disarmonia e irrazionalità. La situazione attuale della disciplina, dopo le modifiche intervenute per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 61/2001, si presenta come una serie di reati sparpagliati tra codice civile, testi unici e leggi di settore: e la situazione rischia di peggiorare (si pensi ad esempio all’introduzione del reato di nocumento al risparmio nel codice penale, art. 499-bis, prevista dal Disegno di legge n. 4705, ‘‘Interventi per la tutela del risparmio’’, presentato alla Camera il 16 febbraio 2004). Sarebbe auspicabile la riduzione della disciplina ad un quadro unitario, attraverso la ricostruzione di un sottosistema, concetto che viene illustrato movendo dalla considerazione che il destino delle «leggi penali speciali» costituisce senza dubbio un passaggio chiave della «riforma penale»; L’incontrovertibile equazione ipertrofia = crisi del diritto penale : riforma = revisione delle «leggi penali speciali» sembra persino giustificare l’affermazione che la «vera riforma del diritto penale è la riforma della parte speciale». Una «presa di posizione» sulle «leggi penali speciali» è, in ogni caso, una condizione necessaria della riforma/ri-codificazione. È proprio in questa prospettiva che assume, appunto, rilievo il concetto di «Sottosistema», parola di gran moda nella discussione «penalistica», che tuttavia non corrisponde ad uno statuto semantico chiaro e condiviso. La ricerca, pertanto, muove dal tentativo di operare una ridefinizione del concetto, ovvero di la ri-determinare «nell’ambito degli usi preesistenti», ma in «modo univoco e preciso» il significato di un’espressione, «che in modo univoco e preciso non era usata» (Scarpelli), avendo ben chiaro che le «Leggi penali speciali» e decodificazione sono manifestazioni complementari del passaggio dal semplice al complesso che caratterizza non solo il diritto penale, ma ogni ramo del diritto; non solo il diritto ma la postmodernità quale età della complessità. Le leggi penali speciali sono il riflesso nel sistema penale della decodificazione, delle logiche che si pluralizzano», del passaggio da un sistema «monocentrico» ad uno «policentrico», dell’affermarsi di modalità d'intervento settoriali che tendono a fornire soluzioni ritagliate sulle caratteristiche dei singoli problemi da affrontare. Non si tratta di un fenomeno effimero e transitorio. In un quadro così tratteggiato, la codificazione, che resta in astratto la «soluzione ottimale» (Pedrazzi), può non essere “alla prova dei fatti” la strategia più efficace per dare voce alle resistenti ragioni del sistema. «Nella complessità dell'odierna società civile, unitarietà di funzioni e monolitismo di modelli di tutela non sembrano essere i mezzi migliori per assicurare al diritto penale un’esistenza al riparo da acute contraddizioni, se non da vere e proprie crisi di legittimazione» (Palazzo). In questo contesto codificazione e decodificazione cessano di rappresentare i «naturali contro-limiti» l’una dell’altra. La decodificazione non può essere trattata come un fenomeno transeunte, una febbre passeggera del sistema; il controcanto stonato di un codice che non interpreta più il ruolo di solista ma resta pur sempre protagonista del sistema. Se così è, il ritorno al codice solo in astratto resta la «soluzione ottimale»; in concreto, può non essere la strategia più efficace per dare voce alle ragioni della sistematicità impresse nel logos del diritto penale. Nel breve periodo, la via per recuperare una certa funzionalità al diritto penale può essere «lo sforzo teso a ridurre le incompatibilità più stridenti»: una prospettiva «non unitaria, ma policentrica» per uscire, con una mappa di «settori o sotto-sistemi» tra «loro comunicanti», dai «sentieri interrotti» che attraversano la «bidonville» delle «leggi penali speciali» (Fiandaca, Padovani, Stortoni). Nel «nucleo specifico» di un sottosistema, infatti, è naturaliter impressa una forza centrifuga rispetto al «nucleo intrinseco» del diritto penale, mentre il sottosistema non è – e non deve essere – un insieme di disposizioni eccezionali; si può trattare di disposizioni specifiche, «diverse», nel senso indicato dall’art. 16 c.p., ma non di deroghe rispetto ai valori/principi/criteri del sistema penale. Se l’ipotesi si realizzasse, la figura che si delineerebbe non sarebbe quella del sottosistema, ma dell’etero-sistema (si pensi alla responsabilità da reato disciplina dal d.lgs 231/2001). Il sottosistema, così inteso, è il confine estremo del diritto penale; oltre questa soglia si apre il campo delle «eccezioni». Il sottosistema è alternativa all’etero-sistema; non è/non deve essere alternativa del sistema. Un altro rischio di cui occorre avere consapevolezza è la disponibilità del sottosistema ad essere utilizzato per convalidare le tendenze al «doppio binario» sempre più consistenti nella legislazione penale contemporanea, siano esse legate ai rigurgiti rigoristici dell’emergenza ovvero alla mitezza del diritto penale del privilegio. Sottosistema, alla luce di queste premesse, si definisce come il correlato ad una prospettiva di tutela specifica e delimitata, nettamente distinguibile dalle altre direttrici dell’intervento penale. Il sottosistema si propone come la massima possibile espressione e la condizione minima necessaria della tensione assiologica del diritto penale in quelle materie in cui non è praticabile l’alternativa della depenalizzazione e, nel breve/medio periodo, il ritorno al codice è ostacolato, se non reso impossibile, dall’ineludibile intreccio tra l’opzione sanzionatoria e la disciplina extrapenale: massima possibile espressione nel senso che in queste materie l’individuazione di una griglia di «universali relativi» (il «nucleo specifico» di un sottosistema, l’insieme degli elementi costitutivi di una «micro-parte» generale) rappresenta il migliore bilanciamento possibile tra la dimensione sostanziale dei principi e la dimensione formale dei valori; condizione minima necessaria, nel senso che, oltre il sottosistema così inteso, si può immaginare soltanto un eterosistema e, cioè, «una parte della parte speciale» che nega i principi del diritto penale e da questo deve essere bandita. Ciò posto il primo passo per elaborare un sottosistema del diritto punitivo degli intermediari finanziari consiste nell’individuarne l’oggetto di tutela. Escludendo le tradizionali nozioni di economia pubblica e ordine pubblico – che non sono altro che etichette di comodo ¬– nonché quella di mercato – che costituisce la cornice operativa degli intermediari finanziari, ma non esiste se non in virtù delle regole che lo fondano ¬– prevale la conclusione che il risparmio costituisce lo scopo ultimo, la ratio della tutela, e che l’immediato oggetto della tutela è invece costituito dalle funzioni delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari. Questa tale conclusione è il risultato di una valutazione dei profili storici della disciplina ¬– il riferimento è soprattutto alla legge 216/1974, che inaugura il diritto penale cosiddetto della seconda velocità, introducendo la prospettiva della tutela delle funzioni –, oltre che in esito ad una disamina di natura comparatistica, in particolare in relazione ai modelli francese, tedesco e spagnolo.

Risparmio, funzioni di vigilanza e diritto penale. Lineamenti di un sottosistema, nella collana delle Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università degli Studi di Bari, n. 137

LOSAPPIO, Giuseppe
2004-01-01

Abstract

L’opera prende in esame il diritto penale degli intermediari finanziari, tradizionalmente definito come settore speciale sia del diritto punitivo sia del diritto societario, e ne denuncia l’anti-sistematicità, disarmonia e irrazionalità. La situazione attuale della disciplina, dopo le modifiche intervenute per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 61/2001, si presenta come una serie di reati sparpagliati tra codice civile, testi unici e leggi di settore: e la situazione rischia di peggiorare (si pensi ad esempio all’introduzione del reato di nocumento al risparmio nel codice penale, art. 499-bis, prevista dal Disegno di legge n. 4705, ‘‘Interventi per la tutela del risparmio’’, presentato alla Camera il 16 febbraio 2004). Sarebbe auspicabile la riduzione della disciplina ad un quadro unitario, attraverso la ricostruzione di un sottosistema, concetto che viene illustrato movendo dalla considerazione che il destino delle «leggi penali speciali» costituisce senza dubbio un passaggio chiave della «riforma penale»; L’incontrovertibile equazione ipertrofia = crisi del diritto penale : riforma = revisione delle «leggi penali speciali» sembra persino giustificare l’affermazione che la «vera riforma del diritto penale è la riforma della parte speciale». Una «presa di posizione» sulle «leggi penali speciali» è, in ogni caso, una condizione necessaria della riforma/ri-codificazione. È proprio in questa prospettiva che assume, appunto, rilievo il concetto di «Sottosistema», parola di gran moda nella discussione «penalistica», che tuttavia non corrisponde ad uno statuto semantico chiaro e condiviso. La ricerca, pertanto, muove dal tentativo di operare una ridefinizione del concetto, ovvero di la ri-determinare «nell’ambito degli usi preesistenti», ma in «modo univoco e preciso» il significato di un’espressione, «che in modo univoco e preciso non era usata» (Scarpelli), avendo ben chiaro che le «Leggi penali speciali» e decodificazione sono manifestazioni complementari del passaggio dal semplice al complesso che caratterizza non solo il diritto penale, ma ogni ramo del diritto; non solo il diritto ma la postmodernità quale età della complessità. Le leggi penali speciali sono il riflesso nel sistema penale della decodificazione, delle logiche che si pluralizzano», del passaggio da un sistema «monocentrico» ad uno «policentrico», dell’affermarsi di modalità d'intervento settoriali che tendono a fornire soluzioni ritagliate sulle caratteristiche dei singoli problemi da affrontare. Non si tratta di un fenomeno effimero e transitorio. In un quadro così tratteggiato, la codificazione, che resta in astratto la «soluzione ottimale» (Pedrazzi), può non essere “alla prova dei fatti” la strategia più efficace per dare voce alle resistenti ragioni del sistema. «Nella complessità dell'odierna società civile, unitarietà di funzioni e monolitismo di modelli di tutela non sembrano essere i mezzi migliori per assicurare al diritto penale un’esistenza al riparo da acute contraddizioni, se non da vere e proprie crisi di legittimazione» (Palazzo). In questo contesto codificazione e decodificazione cessano di rappresentare i «naturali contro-limiti» l’una dell’altra. La decodificazione non può essere trattata come un fenomeno transeunte, una febbre passeggera del sistema; il controcanto stonato di un codice che non interpreta più il ruolo di solista ma resta pur sempre protagonista del sistema. Se così è, il ritorno al codice solo in astratto resta la «soluzione ottimale»; in concreto, può non essere la strategia più efficace per dare voce alle ragioni della sistematicità impresse nel logos del diritto penale. Nel breve periodo, la via per recuperare una certa funzionalità al diritto penale può essere «lo sforzo teso a ridurre le incompatibilità più stridenti»: una prospettiva «non unitaria, ma policentrica» per uscire, con una mappa di «settori o sotto-sistemi» tra «loro comunicanti», dai «sentieri interrotti» che attraversano la «bidonville» delle «leggi penali speciali» (Fiandaca, Padovani, Stortoni). Nel «nucleo specifico» di un sottosistema, infatti, è naturaliter impressa una forza centrifuga rispetto al «nucleo intrinseco» del diritto penale, mentre il sottosistema non è – e non deve essere – un insieme di disposizioni eccezionali; si può trattare di disposizioni specifiche, «diverse», nel senso indicato dall’art. 16 c.p., ma non di deroghe rispetto ai valori/principi/criteri del sistema penale. Se l’ipotesi si realizzasse, la figura che si delineerebbe non sarebbe quella del sottosistema, ma dell’etero-sistema (si pensi alla responsabilità da reato disciplina dal d.lgs 231/2001). Il sottosistema, così inteso, è il confine estremo del diritto penale; oltre questa soglia si apre il campo delle «eccezioni». Il sottosistema è alternativa all’etero-sistema; non è/non deve essere alternativa del sistema. Un altro rischio di cui occorre avere consapevolezza è la disponibilità del sottosistema ad essere utilizzato per convalidare le tendenze al «doppio binario» sempre più consistenti nella legislazione penale contemporanea, siano esse legate ai rigurgiti rigoristici dell’emergenza ovvero alla mitezza del diritto penale del privilegio. Sottosistema, alla luce di queste premesse, si definisce come il correlato ad una prospettiva di tutela specifica e delimitata, nettamente distinguibile dalle altre direttrici dell’intervento penale. Il sottosistema si propone come la massima possibile espressione e la condizione minima necessaria della tensione assiologica del diritto penale in quelle materie in cui non è praticabile l’alternativa della depenalizzazione e, nel breve/medio periodo, il ritorno al codice è ostacolato, se non reso impossibile, dall’ineludibile intreccio tra l’opzione sanzionatoria e la disciplina extrapenale: massima possibile espressione nel senso che in queste materie l’individuazione di una griglia di «universali relativi» (il «nucleo specifico» di un sottosistema, l’insieme degli elementi costitutivi di una «micro-parte» generale) rappresenta il migliore bilanciamento possibile tra la dimensione sostanziale dei principi e la dimensione formale dei valori; condizione minima necessaria, nel senso che, oltre il sottosistema così inteso, si può immaginare soltanto un eterosistema e, cioè, «una parte della parte speciale» che nega i principi del diritto penale e da questo deve essere bandita. Ciò posto il primo passo per elaborare un sottosistema del diritto punitivo degli intermediari finanziari consiste nell’individuarne l’oggetto di tutela. Escludendo le tradizionali nozioni di economia pubblica e ordine pubblico – che non sono altro che etichette di comodo ¬– nonché quella di mercato – che costituisce la cornice operativa degli intermediari finanziari, ma non esiste se non in virtù delle regole che lo fondano ¬– prevale la conclusione che il risparmio costituisce lo scopo ultimo, la ratio della tutela, e che l’immediato oggetto della tutela è invece costituito dalle funzioni delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari. Questa tale conclusione è il risultato di una valutazione dei profili storici della disciplina ¬– il riferimento è soprattutto alla legge 216/1974, che inaugura il diritto penale cosiddetto della seconda velocità, introducendo la prospettiva della tutela delle funzioni –, oltre che in esito ad una disamina di natura comparatistica, in particolare in relazione ai modelli francese, tedesco e spagnolo.
2004
88-8422-329-6
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