Tra Svevo e Gadda si possono rilevare (Stellardi) significative analogie ‘moderniste’: dalla crisi ‘incurabile’(Pedriali) della soggettività autoriale –e del Personaggio che, tra ‘inettitudine’ e ‘malattia’, tra patita o voluta ‘estraneità’ alla vita e sua duplicazione in scrittura, la agisce per metafore narrative– alla sua disgregazione, vitalistica (in Zeno) o luttuosa (in Gonzalo); dalla ricerca dell’autentico (gaddianamente schermato e fagocitato dalle “parvenze” o svevianamente contaminato dalle finzioni della memoria e del sogno) alla questione, in entrambi cardinale, della temporalità, nelle sue intersezioni con l’esperienza individuale e la mimesi della vita vera, e con la loro ardua o indecidibile configurazione semantica entro una rappresentazione letteraria segnata dall’esaurimento storico e dalla caduta verticale del potere cognitivo-espressivo dell’Erlebniskunst (Luperini). Il tempo, sia in quanto asse tematico della invenzione/riflessione narrativa, sia in quanto asse (de)-costruttivo della scrittura, delle sue movenze prospettiche e di stile, assume importanza decisiva in Svevo e Gadda. In entrambi esso è tematizzato attraverso un personaggio ludens o lugens: che lo interroga, o lo ‘inventa’, ‘rigenerandolo’ mentre ne espone il disordine finanche apocalittico, come Zeno, oppure ne patisce e ne contempla la fine (come, specularmente, faranno Gonzalo e la Madre), o ne misura la irriducibilità ad ogni ‘euresi’ (il commissario Ingravallo), comunque denunciandone la rovinosa perdita di Forma e Valore. E’ questo il perno diegetico, riflesso di un trauma soggettivo quanto storico, attorno a cui ruotano, nel loro ‘delirio d’immobilità’, i melanconici o atrabiliari ‘reduci’ di Gadda, che -dal saturnino e amletico Gonzalo al bizzoso capitano in congedo Gaddus, dal suo pacato omologo Delacroix al misantropico Prosdocimo-, ne compongono come nude maschere l’autoritratto, imprigionati nel loro vano e grottesco martirio di antieroi senza destino di gloria né approdo di conoscenza, epigonali proiezioni, nella loro impossibilità di accedere all’esperienza vitale e riacquisirne il senso, della tipologia dell’inetto di cui Svevo aveva rovesciato la parabola nel metamorfismo identitario e temporale, paradossalmente ‘positivo’, di Zeno. E se in Zeno il tempo ‘misto’ e inventato della scrittura istituisce una vita ‘seconda’, pervenendo alla “salute” ossimorica di una prefigurazione apocalittica, nella cognizione tragica di Gonzalo e Ingravallo il tempo, “parvenza del processo deformatore”, infine si lacera a mostrare il vuoto che lo abita. Entro diverse, o inverse, declinazioni, in Svevo e in Gadda la dimensione temporale –la sua costitutiva funzione di paradigma mimetico e semantico- si attesta quale figura della soggettività modernista, che non vi attinge altra verità se non quella, negativa e allegorica, del suo movimento senza causa né fine.

Da Zeno a Prosdocimo. Anti-eroi modernisti e soggettività del tempo in Svevo e Gadda

BONIFACINO, Giuseppe
2014-01-01

Abstract

Tra Svevo e Gadda si possono rilevare (Stellardi) significative analogie ‘moderniste’: dalla crisi ‘incurabile’(Pedriali) della soggettività autoriale –e del Personaggio che, tra ‘inettitudine’ e ‘malattia’, tra patita o voluta ‘estraneità’ alla vita e sua duplicazione in scrittura, la agisce per metafore narrative– alla sua disgregazione, vitalistica (in Zeno) o luttuosa (in Gonzalo); dalla ricerca dell’autentico (gaddianamente schermato e fagocitato dalle “parvenze” o svevianamente contaminato dalle finzioni della memoria e del sogno) alla questione, in entrambi cardinale, della temporalità, nelle sue intersezioni con l’esperienza individuale e la mimesi della vita vera, e con la loro ardua o indecidibile configurazione semantica entro una rappresentazione letteraria segnata dall’esaurimento storico e dalla caduta verticale del potere cognitivo-espressivo dell’Erlebniskunst (Luperini). Il tempo, sia in quanto asse tematico della invenzione/riflessione narrativa, sia in quanto asse (de)-costruttivo della scrittura, delle sue movenze prospettiche e di stile, assume importanza decisiva in Svevo e Gadda. In entrambi esso è tematizzato attraverso un personaggio ludens o lugens: che lo interroga, o lo ‘inventa’, ‘rigenerandolo’ mentre ne espone il disordine finanche apocalittico, come Zeno, oppure ne patisce e ne contempla la fine (come, specularmente, faranno Gonzalo e la Madre), o ne misura la irriducibilità ad ogni ‘euresi’ (il commissario Ingravallo), comunque denunciandone la rovinosa perdita di Forma e Valore. E’ questo il perno diegetico, riflesso di un trauma soggettivo quanto storico, attorno a cui ruotano, nel loro ‘delirio d’immobilità’, i melanconici o atrabiliari ‘reduci’ di Gadda, che -dal saturnino e amletico Gonzalo al bizzoso capitano in congedo Gaddus, dal suo pacato omologo Delacroix al misantropico Prosdocimo-, ne compongono come nude maschere l’autoritratto, imprigionati nel loro vano e grottesco martirio di antieroi senza destino di gloria né approdo di conoscenza, epigonali proiezioni, nella loro impossibilità di accedere all’esperienza vitale e riacquisirne il senso, della tipologia dell’inetto di cui Svevo aveva rovesciato la parabola nel metamorfismo identitario e temporale, paradossalmente ‘positivo’, di Zeno. E se in Zeno il tempo ‘misto’ e inventato della scrittura istituisce una vita ‘seconda’, pervenendo alla “salute” ossimorica di una prefigurazione apocalittica, nella cognizione tragica di Gonzalo e Ingravallo il tempo, “parvenza del processo deformatore”, infine si lacera a mostrare il vuoto che lo abita. Entro diverse, o inverse, declinazioni, in Svevo e in Gadda la dimensione temporale –la sua costitutiva funzione di paradigma mimetico e semantico- si attesta quale figura della soggettività modernista, che non vi attinge altra verità se non quella, negativa e allegorica, del suo movimento senza causa né fine.
2014
978-1783064-236
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