Lo scopo del presente lavoro è quello di analizzare – a partire dalla fase del secondo dopoguerra fino a quella attuale contrassegnata da una profonda crisi non solo economica, ma anche politica, culturale e morale – le trasformazioni del modello di governo democratico dell’economia e della società delineato dalla Costituzione. Dopo aver individuato i nessi tra le matrici culturali della Resistenza e quelle della Repubblica democratica fondata sul lavoro prefigurata dai Costituenti, l’indagine ricostruisce le fasi alterne di inattuazione, di parziale attuazione e infine di boicottaggio della Costituzione. Un processo di smantellamento della forma di stato di democrazia economica-sociale, che è stato supportato dalle élite economiche e finanziarie mediante la costruzione di un “vincolo esterno” ovvero di una “governance economica sovranazionale”, la quale costituisce un dispositivo neoliberale che costringe i popoli a rinunciare ai diritti sociali e si traduce pertanto in una trappola che impedisce l’uscita dalla crisi. Le vicende della crisi dei cd. debiti sovrani hanno rivelato anzi come la crisi economica sia ormai divenuta un dispositivo governo, come dimostra il meccanismo del cosiddetto Fiscal compact, il quale comporta una potatura permanente della spesa pubblica e sociale, spingendo la crisi in una spirale senza fine e inverando così la formula thatcheriana “There is no alternative”. Una crisi che presenta rilevanti analogie con quella analizzata da Antonio Gramsci in quanto si pone come un processo restaurativo funzionale alla garanzia dei profitti delle grandi imprese, il quale potrebbe nuovamente sfociare in un regime plebiscitario imperniato sul potere del “Capo di governo”. Il rancore che la “gente comune” ha maturato per le politiche di austerità con le quali le sono stati addebitati i costi della crisi economica è stato incanalato dai movimenti nazionalisti e populisti, verso la ricerca di capri espiatori (specie gli immigrati) e verso il consenso a nuovi leader capaci di rapportarsi al popolo mediante modalità plebiscitarie, i quali una volta pervenuti al potere si sono rivelati tuttavia funzionali alle esigenze dell’odierno ordoliberismo. Nonostante le ambiguità e le manipolazioni dei movimenti populisti occorre comunque notare come alcune questioni da essi sollevate siano da considerarsi fondate come, ad esempio, quella concernente l’insostenibilità delle misure di austerity e quella relativa al recupero della sovranità, la quale esprime l’esigenza di una politica non più ridotta a mero calcolo di coefficienti, ma capace di ritornare ad essere processo decisionale partecipato. Diviene quindi essenziale per le forze politiche che ancora ambiscono a rappresentare gli interessi delle classi subalterne puntare al recupero della sovranità democratica – ovvero della sovranità popolare – e della sovranità statale nella misura necessaria affinchè la prima possa esprimersi, come premessa necessaria per il ripristino di forme di controllo pubblico-sociale sulla circolazione dei capitali volte a tutelare gli interessi della collettività. Un recupero che dovrebbe avvenire, come sostenuto da Lelio Basso, nel contesto di una concezione dell’«internazionalismo proletario» che a differenza del «cosmopolitismo» capitalistico – il quale rinnega «i valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera» - non ripudia «il sentimento nazionale e la storia, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni di vivere pacificamente insieme». In tale prospettiva risulta indispensabile rivalorizzare la concezione del partito “ex parte societatis” recepita dalla Costituzione, la quale nell’art. 49 lo individua come lo strumento idoneo a esprimere il conflitto sociale e a convogliarlo nel circuito rappresentativo. Un ripensamento sulla forma partito che può avvalersi anche delle riflessioni svolte da Gramsci sul tema, le quali offrono un contributo fondamentale non solo alla scienza politica, ma anche a quella giuspubblicistica perché pongono le fondamenta per l’elaborazione di un modello di Stato inteso non come apparato, ma come comunità. Nella visione di Gramsci l’organizzazione democratica del partito in cui «tutti i membri» sono considerati «intellettuali» e posti nelle condizioni di esprimere capacità di elaborazione e di decisione, dovrebbe prefigurare infatti un modello di Stato fondato non più sul comando degli esecutivi sulla società, ma sull’intreccio tra società civile e società politica. Le forze politiche rappresentative delle classi lavoratrici dovrebbero pertanto utilizzare la riflessione gramsciana sul partito per reimpostare i rapporti tra società e istituzioni in una direzione democratica e partecipata analoga a quella indicata dalla Costituzione, i cui Principi fondamentali vengono ancora oggi evocati nelle lotte che si svolgono nei territori e specie in quelle che rivendicano la costruzione di ordinamenti nazionali, sovranazionali e internazionali capaci di garantire la pace e la giustizia sociale entro le Nazioni e tra le Nazioni.

Dal governo democratico dell'economia alla crisi come dispositivo di governo

Gaetano Bucci
Writing – Original Draft Preparation
2020-01-01

Abstract

Lo scopo del presente lavoro è quello di analizzare – a partire dalla fase del secondo dopoguerra fino a quella attuale contrassegnata da una profonda crisi non solo economica, ma anche politica, culturale e morale – le trasformazioni del modello di governo democratico dell’economia e della società delineato dalla Costituzione. Dopo aver individuato i nessi tra le matrici culturali della Resistenza e quelle della Repubblica democratica fondata sul lavoro prefigurata dai Costituenti, l’indagine ricostruisce le fasi alterne di inattuazione, di parziale attuazione e infine di boicottaggio della Costituzione. Un processo di smantellamento della forma di stato di democrazia economica-sociale, che è stato supportato dalle élite economiche e finanziarie mediante la costruzione di un “vincolo esterno” ovvero di una “governance economica sovranazionale”, la quale costituisce un dispositivo neoliberale che costringe i popoli a rinunciare ai diritti sociali e si traduce pertanto in una trappola che impedisce l’uscita dalla crisi. Le vicende della crisi dei cd. debiti sovrani hanno rivelato anzi come la crisi economica sia ormai divenuta un dispositivo governo, come dimostra il meccanismo del cosiddetto Fiscal compact, il quale comporta una potatura permanente della spesa pubblica e sociale, spingendo la crisi in una spirale senza fine e inverando così la formula thatcheriana “There is no alternative”. Una crisi che presenta rilevanti analogie con quella analizzata da Antonio Gramsci in quanto si pone come un processo restaurativo funzionale alla garanzia dei profitti delle grandi imprese, il quale potrebbe nuovamente sfociare in un regime plebiscitario imperniato sul potere del “Capo di governo”. Il rancore che la “gente comune” ha maturato per le politiche di austerità con le quali le sono stati addebitati i costi della crisi economica è stato incanalato dai movimenti nazionalisti e populisti, verso la ricerca di capri espiatori (specie gli immigrati) e verso il consenso a nuovi leader capaci di rapportarsi al popolo mediante modalità plebiscitarie, i quali una volta pervenuti al potere si sono rivelati tuttavia funzionali alle esigenze dell’odierno ordoliberismo. Nonostante le ambiguità e le manipolazioni dei movimenti populisti occorre comunque notare come alcune questioni da essi sollevate siano da considerarsi fondate come, ad esempio, quella concernente l’insostenibilità delle misure di austerity e quella relativa al recupero della sovranità, la quale esprime l’esigenza di una politica non più ridotta a mero calcolo di coefficienti, ma capace di ritornare ad essere processo decisionale partecipato. Diviene quindi essenziale per le forze politiche che ancora ambiscono a rappresentare gli interessi delle classi subalterne puntare al recupero della sovranità democratica – ovvero della sovranità popolare – e della sovranità statale nella misura necessaria affinchè la prima possa esprimersi, come premessa necessaria per il ripristino di forme di controllo pubblico-sociale sulla circolazione dei capitali volte a tutelare gli interessi della collettività. Un recupero che dovrebbe avvenire, come sostenuto da Lelio Basso, nel contesto di una concezione dell’«internazionalismo proletario» che a differenza del «cosmopolitismo» capitalistico – il quale rinnega «i valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera» - non ripudia «il sentimento nazionale e la storia, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni di vivere pacificamente insieme». In tale prospettiva risulta indispensabile rivalorizzare la concezione del partito “ex parte societatis” recepita dalla Costituzione, la quale nell’art. 49 lo individua come lo strumento idoneo a esprimere il conflitto sociale e a convogliarlo nel circuito rappresentativo. Un ripensamento sulla forma partito che può avvalersi anche delle riflessioni svolte da Gramsci sul tema, le quali offrono un contributo fondamentale non solo alla scienza politica, ma anche a quella giuspubblicistica perché pongono le fondamenta per l’elaborazione di un modello di Stato inteso non come apparato, ma come comunità. Nella visione di Gramsci l’organizzazione democratica del partito in cui «tutti i membri» sono considerati «intellettuali» e posti nelle condizioni di esprimere capacità di elaborazione e di decisione, dovrebbe prefigurare infatti un modello di Stato fondato non più sul comando degli esecutivi sulla società, ma sull’intreccio tra società civile e società politica. Le forze politiche rappresentative delle classi lavoratrici dovrebbero pertanto utilizzare la riflessione gramsciana sul partito per reimpostare i rapporti tra società e istituzioni in una direzione democratica e partecipata analoga a quella indicata dalla Costituzione, i cui Principi fondamentali vengono ancora oggi evocati nelle lotte che si svolgono nei territori e specie in quelle che rivendicano la costruzione di ordinamenti nazionali, sovranazionali e internazionali capaci di garantire la pace e la giustizia sociale entro le Nazioni e tra le Nazioni.
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