La proposta muove dalla partecipazione genovese alla Mostra della Pittura Italiana del ‘600 e ‘700 tenutasi a Firenze nel 1922. Ancorché condizionata dalla politica del tempo, questa iniziativa fu l’occasione per introdurre un largo pubblico alla conoscenza dell’arte italiana in generale, non mancando di suscitare in visitatori illustri un’originale attenzione per le istanze figurative del popolare e del popolaresco per cui si rimanda anche al contributo di Giuseppe De Sandi. Non solo, con l’evento del 1922 e, soprattutto, passando per la grande Mostra del Settecento Italiano, che ebbe luogo a Venezia nel 1929, tali aspetti filtrarono in tutta una serie di progetti espositivi regionali firmati da Orlando Grosso, storico dell’arte, direttore dell’Ufficio Belle Arti del Comune di Genova, che, tra l’altro, collaborò alla revisione del catalogo della mostra toscana del ’22 insieme a Roberto Longhi e a Lionello Venturi. L’attenzione di Grosso anche per tematiche afferenti l’idea dl ‘popolo’ e di ‘cultura popolare’ sono da leggersi in stretta continuità con i fatti di Firenze e di Venezia: un dato reso evidente, in particolare, tanto dalla Mostra dei pittori genovesi del ‘600 e ‘700 (1938), quanto dalla Mostra delle Casacce genovesi e la scultura ligure sacra genovese del ‘600 e del ‘700 (1939), entrambe realizzate, sino alla Mostra del ‘700 a Genova che non poté invece concretizzarsi a causa dell’entrata in guerra dell’Italia. Di tutto questo è possibile rendersi conto guardando in primo luogo, nel 1938, alla ‘riscoperta’ di Alessandro Magnasco, per Grosso dotato di una ‘furia pittorica del tutto paganiniana, anticlassica ed esasperata’, da intendersi come veicolo di una rappresentazione della società non limitata in via esclusiva ai ceti privilegiati. A seguire, la dinamica andò riproponendosi con l’esposizione del 1939, quando fu affrontato il tema largo della scultura tra “arti pure” e “arte popolaresca” attraverso il filtro delle “famose processioni genovesi del Giovedì Santo e del Corpus Domini”, funzionali a rappresentare il fasto - anche qui ad uso e consumo non solo dei ceti dirigenti - “di quel secolo diciottesimo scosso e sconvolto dalla Rivoluzione”. In questo scenario, assunse un ruolo di rilievo il progetto mai realizzato del 1940 per una esposizione dedicata alla Genova del Settecento che vide coinvolto anche il milanese Giuseppe Morazzoni, peraltro artefice di numerosi studi sulla speculare cultura artistica veneziana del XVIII secolo. Confutando l’idea venturiana di una “debolezza artistica” del Settecento ancora sostenuta da Anna Maria Brizio, questo a margine dell’esposizione veneziana del 1929, la mostra genovese del 1940 avrebbe allineato i diversi aspetti dell’arte e della società del periodo preso in esame, tra cui “vita politica, esercito e marina, finanze e commercio, amministrazione comunale, scienze, vita privata, vita religiosa, storia e letteratura, teatro, giochi, belle arti, industrie” e, naturalmente, “arte popolaresca”.

Firenze 1922, Venezia 1929, Genova 1938-’40. Orlando Grosso e il Settecento ‘popolaresco’ in mostra

Andrea Leonardi
In corso di stampa

Abstract

La proposta muove dalla partecipazione genovese alla Mostra della Pittura Italiana del ‘600 e ‘700 tenutasi a Firenze nel 1922. Ancorché condizionata dalla politica del tempo, questa iniziativa fu l’occasione per introdurre un largo pubblico alla conoscenza dell’arte italiana in generale, non mancando di suscitare in visitatori illustri un’originale attenzione per le istanze figurative del popolare e del popolaresco per cui si rimanda anche al contributo di Giuseppe De Sandi. Non solo, con l’evento del 1922 e, soprattutto, passando per la grande Mostra del Settecento Italiano, che ebbe luogo a Venezia nel 1929, tali aspetti filtrarono in tutta una serie di progetti espositivi regionali firmati da Orlando Grosso, storico dell’arte, direttore dell’Ufficio Belle Arti del Comune di Genova, che, tra l’altro, collaborò alla revisione del catalogo della mostra toscana del ’22 insieme a Roberto Longhi e a Lionello Venturi. L’attenzione di Grosso anche per tematiche afferenti l’idea dl ‘popolo’ e di ‘cultura popolare’ sono da leggersi in stretta continuità con i fatti di Firenze e di Venezia: un dato reso evidente, in particolare, tanto dalla Mostra dei pittori genovesi del ‘600 e ‘700 (1938), quanto dalla Mostra delle Casacce genovesi e la scultura ligure sacra genovese del ‘600 e del ‘700 (1939), entrambe realizzate, sino alla Mostra del ‘700 a Genova che non poté invece concretizzarsi a causa dell’entrata in guerra dell’Italia. Di tutto questo è possibile rendersi conto guardando in primo luogo, nel 1938, alla ‘riscoperta’ di Alessandro Magnasco, per Grosso dotato di una ‘furia pittorica del tutto paganiniana, anticlassica ed esasperata’, da intendersi come veicolo di una rappresentazione della società non limitata in via esclusiva ai ceti privilegiati. A seguire, la dinamica andò riproponendosi con l’esposizione del 1939, quando fu affrontato il tema largo della scultura tra “arti pure” e “arte popolaresca” attraverso il filtro delle “famose processioni genovesi del Giovedì Santo e del Corpus Domini”, funzionali a rappresentare il fasto - anche qui ad uso e consumo non solo dei ceti dirigenti - “di quel secolo diciottesimo scosso e sconvolto dalla Rivoluzione”. In questo scenario, assunse un ruolo di rilievo il progetto mai realizzato del 1940 per una esposizione dedicata alla Genova del Settecento che vide coinvolto anche il milanese Giuseppe Morazzoni, peraltro artefice di numerosi studi sulla speculare cultura artistica veneziana del XVIII secolo. Confutando l’idea venturiana di una “debolezza artistica” del Settecento ancora sostenuta da Anna Maria Brizio, questo a margine dell’esposizione veneziana del 1929, la mostra genovese del 1940 avrebbe allineato i diversi aspetti dell’arte e della società del periodo preso in esame, tra cui “vita politica, esercito e marina, finanze e commercio, amministrazione comunale, scienze, vita privata, vita religiosa, storia e letteratura, teatro, giochi, belle arti, industrie” e, naturalmente, “arte popolaresca”.
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