In occasione della mostra sulla "Civiltà del Settecento a Napoli " (1980), Francis Haskell definì il volume dedicato alla collezione dell’ambasciatore inglese William Hamilton, "Les Antiquités étrusques, grecques et romaines" (1766-’67), come il libro più elegante del XVIII secolo. Un così formidabile indicatore di gusto, legato alle rotte del Grand Tour alimentate dai flussi artistici e antiquari che dal meridione convergevano verso Napoli e da lì si aprivano all’Europa, trovò spazio anche nella raccolta libraria della famiglia Jatta ospitata, insieme a una bella quadreria densa di suggestioni seicentesche romane e napoletane, nell’omonimo palazzo a Ruvo di Puglia. La dimora, ora in parte sede del Museo Archeologico Nazionale Jatta, rappresentò sin dagli inizi dell’Ottocento un crocevia di interessi legati all’antico e alla cultura classica, in parallelo alle analoghe esperienze dei Meo-Evoli a Monopoli e dei Bonelli a Barletta (il cui archivio è confluito nel fondo privato Jatta), i secondi originari di Alessandria e imparentati con quei Ghislieri di Bologna artefici, nel 1567 e per iniziativa di Pio V, di una fondazione culturale di primo piano come l’omonimo Collegio di Pavia. I ‘musei’ di queste famiglie —perché come tali risultano concepiti dai loro fondatori-collezionisti anche negli spazi—, furono ispirati da una forma di ‘paternalismo illuminato’ che, nel largo e ancora insondato orizzonte della Puglia storica, già nel secondo Settecento creò le condizioni per il passaggio a una dimensione larga di pubblica fruizione, peraltro da mettere anche a registro rispetto alla giurisprudenza in materia di ‘beni culturali’ della Napoli ferdinandea. A monte di una simile scelta, infatti, si pongono personalità come Michele IV Imperiale (1719-1782) principe di Francavilla e di Oria (cioè il centro che diede i natali a Francesco Milizia nel 1725), cui affiancare l’arcivescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro (1744-1836); entrambi ‘pugliesi’ biografati da Benedetto Croce, abitarono in luoghi significanti della Napoli sette-ottocentesca: l’uno, a Palazzo Cellamare; l’altro, presso palazzo Sessa a Cappella Vecchia che già era stato dimora dello stesso Lord Hamilton.

Un ipernodo europeo ai confini del Grand Tour. Alle origini dell'idea di 'museo' nella Puglia storica tra Settecento e Ottocento

Andrea Leonardi
2018-01-01

Abstract

In occasione della mostra sulla "Civiltà del Settecento a Napoli " (1980), Francis Haskell definì il volume dedicato alla collezione dell’ambasciatore inglese William Hamilton, "Les Antiquités étrusques, grecques et romaines" (1766-’67), come il libro più elegante del XVIII secolo. Un così formidabile indicatore di gusto, legato alle rotte del Grand Tour alimentate dai flussi artistici e antiquari che dal meridione convergevano verso Napoli e da lì si aprivano all’Europa, trovò spazio anche nella raccolta libraria della famiglia Jatta ospitata, insieme a una bella quadreria densa di suggestioni seicentesche romane e napoletane, nell’omonimo palazzo a Ruvo di Puglia. La dimora, ora in parte sede del Museo Archeologico Nazionale Jatta, rappresentò sin dagli inizi dell’Ottocento un crocevia di interessi legati all’antico e alla cultura classica, in parallelo alle analoghe esperienze dei Meo-Evoli a Monopoli e dei Bonelli a Barletta (il cui archivio è confluito nel fondo privato Jatta), i secondi originari di Alessandria e imparentati con quei Ghislieri di Bologna artefici, nel 1567 e per iniziativa di Pio V, di una fondazione culturale di primo piano come l’omonimo Collegio di Pavia. I ‘musei’ di queste famiglie —perché come tali risultano concepiti dai loro fondatori-collezionisti anche negli spazi—, furono ispirati da una forma di ‘paternalismo illuminato’ che, nel largo e ancora insondato orizzonte della Puglia storica, già nel secondo Settecento creò le condizioni per il passaggio a una dimensione larga di pubblica fruizione, peraltro da mettere anche a registro rispetto alla giurisprudenza in materia di ‘beni culturali’ della Napoli ferdinandea. A monte di una simile scelta, infatti, si pongono personalità come Michele IV Imperiale (1719-1782) principe di Francavilla e di Oria (cioè il centro che diede i natali a Francesco Milizia nel 1725), cui affiancare l’arcivescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro (1744-1836); entrambi ‘pugliesi’ biografati da Benedetto Croce, abitarono in luoghi significanti della Napoli sette-ottocentesca: l’uno, a Palazzo Cellamare; l’altro, presso palazzo Sessa a Cappella Vecchia che già era stato dimora dello stesso Lord Hamilton.
2018
978-88-16-41479-2
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