Aveva origini militari la branche napoletana degli Avalos che erano arrivati dalla penisola iberica nel Mezzogiorno d’Italia al seguito di Alfonso d’Aragona, avevano offerto al futuro re l’ausilio del proprio braccio armato nel corso della lotta per il trono e ne avevano ricevuto in cambio risorse simboliche e materiali tali da favorire il loro inserimento nelle file della nobiltà del Regno di Napoli. Non meno dell’abilità guerriera, contribuì alla fortuna di Innico, padre della prima Costanza (1460 ca-1541), il matrimonio con Antonella d’Aquino, rampolla di un antico e illustre casato napoletano circondato di prestigio quasi sacrale ed ereditiera di un vasto complesso feudale in Abruzzo e nella valle del Liri. La prematura morte dei fratelli, impegnati nei conflitti che funestarono il Mezzogiorno tra Quattro e Cinquecento, fece sì che a capo del casato restasse la sola Costanza. Rimasta vedova di Federico del Balzo in giovane età, la signora era tornata a vivere nella famiglia paterna che seppe reggere con mano ferma, dedicandosi con particolare cura all’educazione dei nipoti rimasti orfani, tra i quali vi era la seconda Costanza (1504 ca-1575), figlia del marchese del Vasto e poi sposa del duca d’Amalfi Alfonso Piccolomini. Le vicende di zia e nipote rimandano a due opposti paradigmi femminili diffusi in età rinascimentale, ma in questo saggio sono state riportate a più concrete dimensioni storiche, attraverso un paziente esame delle scarse testimonianze documentarie disponibili. La prima Costanza fu donna di potere, dedita ad accrescere onore e ricchezza del casato, capace di pilotare la delicata fase di transizione dalla fedeltà alla dinastia aragonese a quella ai re cattolici, figura di spicco nella vita politica e sociale dell’epoca, signora di solida cultura e abile animatrice della corte di Ischia che le si raccolse intorno. La seconda fu sposa prolifica, ma infelice, condannata a subire le continue infedeltà del marito che, per altro, non brillò nella carriera al servizio degli Asburgo e fu infine costretto a ritirarsi, sospettato d’aver ordito trame filo-francesi. Le traversie coniugali contribuirono al progressivo estraniarsi dal mondo della duchessa, che concluse la sua vita in convento, e al suo avvicinamento allo spiritualismo di Juan de Valdès. Le idee dello spagnolo avevano fatto breccia nel circolo intellettuale ischitano assiduamente frequentato, tra l’altro, da Vittoria Colonna imparentata con gli Avalos, per aver sposato Francesco Ferrante, marchese di Pescara. In particolare la duchessa d’Amalfi, che anche da coniugata mantenne rapporti intensi e affettuosi con i suoi congiunti, trovò nella Colonna una figura di riferimento, la cui influenza si avverte nei pochi sonetti di Costanza d’Avalos che ci sono giunti, frutto della raffinata cultura letteraria degli anni della giovinezza e della spiritualità valdesiana della maturità.

Tra vita reale e modello teorico: le due Costanze d’Avalos nella Napoli aragonese e spagnola

PAPAGNA, Elena
2008-01-01

Abstract

Aveva origini militari la branche napoletana degli Avalos che erano arrivati dalla penisola iberica nel Mezzogiorno d’Italia al seguito di Alfonso d’Aragona, avevano offerto al futuro re l’ausilio del proprio braccio armato nel corso della lotta per il trono e ne avevano ricevuto in cambio risorse simboliche e materiali tali da favorire il loro inserimento nelle file della nobiltà del Regno di Napoli. Non meno dell’abilità guerriera, contribuì alla fortuna di Innico, padre della prima Costanza (1460 ca-1541), il matrimonio con Antonella d’Aquino, rampolla di un antico e illustre casato napoletano circondato di prestigio quasi sacrale ed ereditiera di un vasto complesso feudale in Abruzzo e nella valle del Liri. La prematura morte dei fratelli, impegnati nei conflitti che funestarono il Mezzogiorno tra Quattro e Cinquecento, fece sì che a capo del casato restasse la sola Costanza. Rimasta vedova di Federico del Balzo in giovane età, la signora era tornata a vivere nella famiglia paterna che seppe reggere con mano ferma, dedicandosi con particolare cura all’educazione dei nipoti rimasti orfani, tra i quali vi era la seconda Costanza (1504 ca-1575), figlia del marchese del Vasto e poi sposa del duca d’Amalfi Alfonso Piccolomini. Le vicende di zia e nipote rimandano a due opposti paradigmi femminili diffusi in età rinascimentale, ma in questo saggio sono state riportate a più concrete dimensioni storiche, attraverso un paziente esame delle scarse testimonianze documentarie disponibili. La prima Costanza fu donna di potere, dedita ad accrescere onore e ricchezza del casato, capace di pilotare la delicata fase di transizione dalla fedeltà alla dinastia aragonese a quella ai re cattolici, figura di spicco nella vita politica e sociale dell’epoca, signora di solida cultura e abile animatrice della corte di Ischia che le si raccolse intorno. La seconda fu sposa prolifica, ma infelice, condannata a subire le continue infedeltà del marito che, per altro, non brillò nella carriera al servizio degli Asburgo e fu infine costretto a ritirarsi, sospettato d’aver ordito trame filo-francesi. Le traversie coniugali contribuirono al progressivo estraniarsi dal mondo della duchessa, che concluse la sua vita in convento, e al suo avvicinamento allo spiritualismo di Juan de Valdès. Le idee dello spagnolo avevano fatto breccia nel circolo intellettuale ischitano assiduamente frequentato, tra l’altro, da Vittoria Colonna imparentata con gli Avalos, per aver sposato Francesco Ferrante, marchese di Pescara. In particolare la duchessa d’Amalfi, che anche da coniugata mantenne rapporti intensi e affettuosi con i suoi congiunti, trovò nella Colonna una figura di riferimento, la cui influenza si avverte nei pochi sonetti di Costanza d’Avalos che ci sono giunti, frutto della raffinata cultura letteraria degli anni della giovinezza e della spiritualità valdesiana della maturità.
2008
978-88-8334-365-0
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