La storia delle piccole e medie città del Mezzogiorno d’Italia, delle loro istituzioni politico-amministrative e degli uomini in esse attivi ha riscosso una crescente fortuna storiografica nella seconda metà del Novecento e di recente si è aperta alle suggestioni offerte da una storia politica che ha respinto ogni evoluzione lineare delle forme di governo cittadino e ha moltiplicato i soggetti e gli idiomi politici presenti nelle realtà urbane. In questa prospettiva storiografica si colloca l’indagine svolta sulla città di Gallipoli e su Filippo Maria Briganti, che in essa visse e operò nella seconda metà del XVIII secolo, in una fase di affermazione di nuovi valori e di nuove pratiche nell’esercizio del potere e nella selezione dei ceti dirigenti cittadini. Importante centro portuale della provincia storica di Terra d’Otranto, Gallipoli viveva nel Settecento un periodo di espansione demografica ed economica, dovuta al drenaggio e alla trasformazione dei prodotti dell’agricoltura locale, incentrata sull’olivicoltura, e alla commercializzazione delle derrate sul mercato internazionale. Le dinamiche politiche della città erano condizionate dai cambiamenti socio-economici e si trovavano esposte alle tensioni prodotte da forze contrastanti, che sarebbe riduttivo interpretare alla luce di una elementare dialettica bipolare, nata dall’opposizione tra consolidate élites dirigenti e gruppi di potere identificabili, con larghi margini di approssimazione, come “borghesi”, insofferenti nei confronti del regime di privilegio cetuale e desiderosi di partecipare alla gestione della politica locale, portatori di una identità costruita sulla retorica argomentativa del talento e del censo, in opposizione con quella del lignaggio, cara agli avversari. Tale rigido paradigma, infatti, sembra inadeguato a rendere la complessità e la fluidità degli opposti schieramenti cittadini, che erano il risultato sia della precarietà strutturale di qualsiasi equilibrio, generato da trasformazioni socio-economiche in fieri, sia dell’opportunità di scegliere, in base a convenienze contingenti, alleanze diverse, rese possibili dalla pluralità dei poteri attivi sul territorio. Vescovi, canonici, giudici, castellani, presidi, uditori, esponenti delle magistrature centrali presenti in Gallipoli erano solo in teoria estranei al governo civico, in quanto dipendenti da autorità esterne, mentre nella pratica quotidiana venivano disattesi i ruoli definiti dalle appartenenze istituzionali e si confondevano i linguaggi adoperati nel gioco politico locale. Filippo Briganti, abile giurisperito ed esponente di spicco del patriziato gallipolino, per tradizione familiare e per scelta personale fu attivamente impegnato sulla scena della città d’origine, rivestì importanti cariche pubbliche e spese le proprie competenze professionali in difesa della nobiltà civica che, da sempre egemone nel governo municipale, all’epoca vedeva vacillare il suo primato. Personaggio ambiguo al pari di molti altri illuministi napoletani, egli da un canto era persuaso della necessità di attuare una serie di improcrastinabili riforme nell’ambito cittadino, dall’altro si mostrava incapace di rompere con il passato e di proporre un progetto di vita politica, sociale e culturale nuovo e organico, che non poteva non comportare la rinuncia dei gruppi tradizionalmente egemoni ai propri privilegi. Il volume è completato dalla ristampa anastatica di alcuni testi, ormai irreperibili, scritti dal Briganti in materia di governo della città.

Filippo Briganti, patrizio di Gallipoli. Teoria e prassi del governo cittadino nel Settecento napoletano

PAPAGNA, Elena
2006-01-01

Abstract

La storia delle piccole e medie città del Mezzogiorno d’Italia, delle loro istituzioni politico-amministrative e degli uomini in esse attivi ha riscosso una crescente fortuna storiografica nella seconda metà del Novecento e di recente si è aperta alle suggestioni offerte da una storia politica che ha respinto ogni evoluzione lineare delle forme di governo cittadino e ha moltiplicato i soggetti e gli idiomi politici presenti nelle realtà urbane. In questa prospettiva storiografica si colloca l’indagine svolta sulla città di Gallipoli e su Filippo Maria Briganti, che in essa visse e operò nella seconda metà del XVIII secolo, in una fase di affermazione di nuovi valori e di nuove pratiche nell’esercizio del potere e nella selezione dei ceti dirigenti cittadini. Importante centro portuale della provincia storica di Terra d’Otranto, Gallipoli viveva nel Settecento un periodo di espansione demografica ed economica, dovuta al drenaggio e alla trasformazione dei prodotti dell’agricoltura locale, incentrata sull’olivicoltura, e alla commercializzazione delle derrate sul mercato internazionale. Le dinamiche politiche della città erano condizionate dai cambiamenti socio-economici e si trovavano esposte alle tensioni prodotte da forze contrastanti, che sarebbe riduttivo interpretare alla luce di una elementare dialettica bipolare, nata dall’opposizione tra consolidate élites dirigenti e gruppi di potere identificabili, con larghi margini di approssimazione, come “borghesi”, insofferenti nei confronti del regime di privilegio cetuale e desiderosi di partecipare alla gestione della politica locale, portatori di una identità costruita sulla retorica argomentativa del talento e del censo, in opposizione con quella del lignaggio, cara agli avversari. Tale rigido paradigma, infatti, sembra inadeguato a rendere la complessità e la fluidità degli opposti schieramenti cittadini, che erano il risultato sia della precarietà strutturale di qualsiasi equilibrio, generato da trasformazioni socio-economiche in fieri, sia dell’opportunità di scegliere, in base a convenienze contingenti, alleanze diverse, rese possibili dalla pluralità dei poteri attivi sul territorio. Vescovi, canonici, giudici, castellani, presidi, uditori, esponenti delle magistrature centrali presenti in Gallipoli erano solo in teoria estranei al governo civico, in quanto dipendenti da autorità esterne, mentre nella pratica quotidiana venivano disattesi i ruoli definiti dalle appartenenze istituzionali e si confondevano i linguaggi adoperati nel gioco politico locale. Filippo Briganti, abile giurisperito ed esponente di spicco del patriziato gallipolino, per tradizione familiare e per scelta personale fu attivamente impegnato sulla scena della città d’origine, rivestì importanti cariche pubbliche e spese le proprie competenze professionali in difesa della nobiltà civica che, da sempre egemone nel governo municipale, all’epoca vedeva vacillare il suo primato. Personaggio ambiguo al pari di molti altri illuministi napoletani, egli da un canto era persuaso della necessità di attuare una serie di improcrastinabili riforme nell’ambito cittadino, dall’altro si mostrava incapace di rompere con il passato e di proporre un progetto di vita politica, sociale e culturale nuovo e organico, che non poteva non comportare la rinuncia dei gruppi tradizionalmente egemoni ai propri privilegi. Il volume è completato dalla ristampa anastatica di alcuni testi, ormai irreperibili, scritti dal Briganti in materia di governo della città.
2006
978-88-8498-343-5
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