Conoscere le tecniche di riscrittura e di citazione dantesca messe in campo da Guido Gozzano può fornire importanti punti di riferimento per ripercorrere quella "via del rifugio" che per il poeta fu sempre la letteratura, aprendo la strada a quel dantismo così peculiare del Novecento, per il quale la citazione non è una mera esibizione di eleganza della lingua, né materiale di recupero dopo la demolizione della tradizione moderna, bensì tessera semanticamente pregna che impegna il lettore nel riconoscimento del contesto di provenienza. In Gozzano si percepisce, però, solo in forma embrionale quell’uso dell’allusione dantesca come spia di rinvio a un complesso ipotesto del quale il poeta moderno mantenga i valori simbolici e allegorici dell’aldilà; in lui prevale, infatti, un uso straniato della citazione, costantemente giocata sul filo dell’ammiccamento, ma sostanzialmente indifferente allo sviluppo narrativo della "Commedia" e alle sue questioni morali. Al posto dell’attualizzazione terrena e novecentesca del paesaggio infernale - che sarà così significativo in autori come Campana, Eliot, Montale, Borges, Sereni, Pasolini o Luzi, sia pur nella varietà degli atteggiamenti possibili, dal disagio esistenziale e ‘cosmico’ al risentimento civile - nel poeta torinese questo saggio scopre e documenta una sistematicità di ripresa che differenzia Dante da tutti gli altri classici da lui amati: il Dante di Gozzano è la guida che offre il destro per una critica sociale sferzante, orientata in particolar modo contro la società capitalistica e borghese e, attraverso una prosaicizzazione e laicizzazione dei "loci" teologici, offre a Gozzano immagini utili alla costruzione di un proprio disperato materialismo.

Cercando «il volume foglio a foglio»: il dantismo di Gozzano fra anticapitalismo e scientismo

PEGORARI, DANIELE MARIA
2008-01-01

Abstract

Conoscere le tecniche di riscrittura e di citazione dantesca messe in campo da Guido Gozzano può fornire importanti punti di riferimento per ripercorrere quella "via del rifugio" che per il poeta fu sempre la letteratura, aprendo la strada a quel dantismo così peculiare del Novecento, per il quale la citazione non è una mera esibizione di eleganza della lingua, né materiale di recupero dopo la demolizione della tradizione moderna, bensì tessera semanticamente pregna che impegna il lettore nel riconoscimento del contesto di provenienza. In Gozzano si percepisce, però, solo in forma embrionale quell’uso dell’allusione dantesca come spia di rinvio a un complesso ipotesto del quale il poeta moderno mantenga i valori simbolici e allegorici dell’aldilà; in lui prevale, infatti, un uso straniato della citazione, costantemente giocata sul filo dell’ammiccamento, ma sostanzialmente indifferente allo sviluppo narrativo della "Commedia" e alle sue questioni morali. Al posto dell’attualizzazione terrena e novecentesca del paesaggio infernale - che sarà così significativo in autori come Campana, Eliot, Montale, Borges, Sereni, Pasolini o Luzi, sia pur nella varietà degli atteggiamenti possibili, dal disagio esistenziale e ‘cosmico’ al risentimento civile - nel poeta torinese questo saggio scopre e documenta una sistematicità di ripresa che differenzia Dante da tutti gli altri classici da lui amati: il Dante di Gozzano è la guida che offre il destro per una critica sociale sferzante, orientata in particolar modo contro la società capitalistica e borghese e, attraverso una prosaicizzazione e laicizzazione dei "loci" teologici, offre a Gozzano immagini utili alla costruzione di un proprio disperato materialismo.
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