Il saggio punta ad offrire un ulteriore contributo all’analisi storica del Mezzogiorno d’Italia in età moderna, attraverso lo studio di uno dei meccanismi che caratterizzano l’articolata azione svolta da una importante istituzione come quella della Dogana della Mena delle Pecore, tra centro e periferia del Regno di Napoli. La puntuale distinzione tra terra ‘della dogana’ e quella ‘dei particulari’ è il principale scopo di una grande operazione condotta, a metà del Cinquecento, dalle autorità vicereali nel Tavoliere delle Puglie. L’obiettivo dichiarato della Generale Reintegra dei territori sottoposti al controllo della Regia Dogana della Mena delle Pecore e dislocati nella più grande pianura del Regno ( vengono censiti all’incirca quattrocentomila ettari), è quello di porre rimedio al perenne conflitto tra pastori ed agricoltori. Alla produzione cerealicola, rivolta in prevalenza verso i mercati nazionali ed internazionali, sono destinate quelle terre di proprietà dominicale o feudale, anche se vincolate al rispetto di precise norme colturali. Chiusa la Reintegra, però, si aggiungono porzioni di terre salde e cioè vincolate in perpetuo all’uso di pascolo delle greggi transumanti e definite, per tanto, ‘della dogana’. La Corona, cioè, una volta classificato il territorio secondo le due categorie su descritte, sottrae terra originariamente dedicata al pascolo perpetuo per assegnarla temporaneamente, ed attraverso affitti pluriennali, a massari di campo e produttori di cereali. In questo modo, per altro, si riequilibra il saldo negativo della quantità di terra assegnata alla attività agricola da una operazione più attenta alle esigenze della pastorizia. Nel saggio, attraverso lo spoglio della ricca documentazione conservata nel fondo Dogana dell’Archivio di Stato di Foggia, si ricostruisce il trend degli affitti promossi tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del XVII secolo, soffermandosi ad analizzare i meccanismi di assegnazione dei differenti lotti ed il profilo dei locatori nel mutare della più generale congiuntura economica, tra la fine della fase di espansione produttiva cinquecentesca e l’avvio della crisi seicentesca. Accanto ai dati quantitativi, l’analisi si sofferma sul significato di azioni tese ad affermare la supremazia regia nell’amministrazione di un territorio segnato dalla presenza di poche università per lo più infeudate, che si intrecciano con il tentativo, sempre operato dalle autorità centrali, di esercitare uno specifico controllo su uno dei fattori decisivi per la produzione di un bene strategico, quali i cereali, e cioè l’offerta di terra coltivabile capace, inoltre, di offrire ottime rese. Tutto ciò facendo leva sull’esistenza di una vasta area pubblica: le terre ‘della dogana’.

Il granaio di Napoli. La cerealicoltura nelle Terre della Dogana tra XVI e XVII

CIUFFREDA, Antonio
2004-01-01

Abstract

Il saggio punta ad offrire un ulteriore contributo all’analisi storica del Mezzogiorno d’Italia in età moderna, attraverso lo studio di uno dei meccanismi che caratterizzano l’articolata azione svolta da una importante istituzione come quella della Dogana della Mena delle Pecore, tra centro e periferia del Regno di Napoli. La puntuale distinzione tra terra ‘della dogana’ e quella ‘dei particulari’ è il principale scopo di una grande operazione condotta, a metà del Cinquecento, dalle autorità vicereali nel Tavoliere delle Puglie. L’obiettivo dichiarato della Generale Reintegra dei territori sottoposti al controllo della Regia Dogana della Mena delle Pecore e dislocati nella più grande pianura del Regno ( vengono censiti all’incirca quattrocentomila ettari), è quello di porre rimedio al perenne conflitto tra pastori ed agricoltori. Alla produzione cerealicola, rivolta in prevalenza verso i mercati nazionali ed internazionali, sono destinate quelle terre di proprietà dominicale o feudale, anche se vincolate al rispetto di precise norme colturali. Chiusa la Reintegra, però, si aggiungono porzioni di terre salde e cioè vincolate in perpetuo all’uso di pascolo delle greggi transumanti e definite, per tanto, ‘della dogana’. La Corona, cioè, una volta classificato il territorio secondo le due categorie su descritte, sottrae terra originariamente dedicata al pascolo perpetuo per assegnarla temporaneamente, ed attraverso affitti pluriennali, a massari di campo e produttori di cereali. In questo modo, per altro, si riequilibra il saldo negativo della quantità di terra assegnata alla attività agricola da una operazione più attenta alle esigenze della pastorizia. Nel saggio, attraverso lo spoglio della ricca documentazione conservata nel fondo Dogana dell’Archivio di Stato di Foggia, si ricostruisce il trend degli affitti promossi tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del XVII secolo, soffermandosi ad analizzare i meccanismi di assegnazione dei differenti lotti ed il profilo dei locatori nel mutare della più generale congiuntura economica, tra la fine della fase di espansione produttiva cinquecentesca e l’avvio della crisi seicentesca. Accanto ai dati quantitativi, l’analisi si sofferma sul significato di azioni tese ad affermare la supremazia regia nell’amministrazione di un territorio segnato dalla presenza di poche università per lo più infeudate, che si intrecciano con il tentativo, sempre operato dalle autorità centrali, di esercitare uno specifico controllo su uno dei fattori decisivi per la produzione di un bene strategico, quali i cereali, e cioè l’offerta di terra coltivabile capace, inoltre, di offrire ottime rese. Tutto ciò facendo leva sull’esistenza di una vasta area pubblica: le terre ‘della dogana’.
2004
88-8431-112-8
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