Dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 si è sviluppata nel nostro Paese, grazie anche ai cambiamenti verificatisi nei consessi europei , una nuova attenzione nei riguardi della condizione minorile, in particolare modo delle sue condizioni di vita, dei suoi bisogni e delle sue esigenze educative. L’ordinamento giuridico ha incominciato a riconoscere che il “minore” non poteva essere solo destinatario di norme giuridiche di protezione, ma doveva essere riconosciuto come titolare di diritti e che questi dovevano essere garantiti. La nostra stessa Costituzione, infatti, riconosce al minore i diritti inviolabili dell’uomo “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, impegnandosi a rimuovere gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (artt. 2 e 3, comma 2, Cost.). I temi della famiglia, dei figli e della loro educazione trovano posizione nell’intero titolo II della Carta Costituzionale. L’ordinamento riconosce il singolo minore, sia come individuo che nella società in cui opera, e si impegna a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità. In tale prospettiva, ciò che la Costituzione evidenzia non è un principio generico di tutela di un soggetto in posizione d’inferiorità, ma la condizione del minore in quanto persona, tutelandone i diritti della personalità . Tra i diritti della persona, così come sono riconosciuti negli atti costitutivi delle Convenzioni e negli atti internazionali , assume particolare rilevanza il diritto all’educazione. Com’è stato opportunamente osservato, il diritto all’educazione è sinonimo di diritto “alla maturazione di una personalità autonoma capace di determinarsi liberamente nella vita” . In realtà, il minore non è pienamente capace di poter percepire concretamente quali sono i suoi diritti, e di poterne pretendere la loro attuazione. Anche per questa circostanza appare necessario che l’ordinamento li garantisca e li promuova. Il primo organismo che dovrebbe adempiere a tale funzione è il nucleo familiare. La realtà odierna ci propone però casi in cui i genitori non sono in grado di valorizzare il minore come titolare di autonomi diritti, ma essa stessa ha bisogno di essere supportata a ricoprire tale funzione . Esempi tipici sono rappresentati dalle crisi familiari che mettono a rischio la crescita equilibrata dei soggetti indifesi. In tali casi d’insufficienza, vi è l’obbligo d’intervenire sia in sede giudiziaria, sia in sede amministrativa; luoghi in cui l’interesse del minore deve trovare piena tutela ed attuazione risolvendo le problematiche con soluzioni adeguate ed improntate, principalmente, all’interesse del minore . La decisione di interessarmi alla tematica qui discussa, nasce dalla considerazione che si tratta di una vera e propria emergenza sociale ed è palese un’urgenza di iniziative per poter comprendere meglio la natura del fenomeno e per poter cercare di delineare una linea culturale e politica di comportamento da parte di tutta la società, dalle autorità di governo fino ai comuni cittadini. Occorre porre molta attenzione all’attuale fenomeno migratorio, del tutto diverso dai movimenti intraeuropei, che ha portato la nostra società a diretto contatto con realtà lontane. Tale nuova situazione impone l’adozione di due politiche autonome dalle diverse finalità. La politica migratoria, nei suoi complessi aspetti di gestione dei flussi, di accoglienza e di inserimento nella società, è volta al soddisfacimento delle esigenze del mercato del lavoro e della solidarietà internazionale; le politiche demografiche, volte a garantire i diritti del cittadino, del minore nonché il rispetto e la salvaguardia di aspetti identitari e di equilibri sociali. Di tutti i Paesi interessati a tali problematiche, l’Italia è risultata essere la più impreparata sotto ogni profilo: culturale, politico, economico, giuridico e sociale. Negli anni novanta l’alto numero di immigrati, principalmente musulmani, ha destato l’attenzione verso lo studio del fenomeno che non è meramente legato all’accoglienza ma è di natura culturale, profilo più delicato e complesso che comporta questioni in ordine al loro inserimento all’interno della nostra società e, in un panorama più ampio, nell’Unione europea. In tale ottica, anche la Chiesa è chiamata ad affrontare una duplice sfida, da un lato creare l’unità, riconoscendo e valorizzando ogni altra esperienza di natura religiosa e culturale, in primo luogo quella di chi ha dovuto abbandonare il proprio luogo di origine, affinché non perda la sua identità, e dall’altro saper mediare tra queste esperienze e la propria esperienza autoctona di Chiesa locale . L’obiettivo deve essere quello <> . Nello specifico, alla luce di un fenomeno quale la migrazione di massa, è fondamentale chiedersi quali cambiamenti si impongono sulla strada del rinnovamento della nostra società, e se in concreto saremo capaci di dar vita ad un progetto di convivenza pacifica tra popoli e culture spesso distanti tra loro.

Diritti ed educazione religiosa del minore

Santoro Roberta
2004-01-01

Abstract

Dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 si è sviluppata nel nostro Paese, grazie anche ai cambiamenti verificatisi nei consessi europei , una nuova attenzione nei riguardi della condizione minorile, in particolare modo delle sue condizioni di vita, dei suoi bisogni e delle sue esigenze educative. L’ordinamento giuridico ha incominciato a riconoscere che il “minore” non poteva essere solo destinatario di norme giuridiche di protezione, ma doveva essere riconosciuto come titolare di diritti e che questi dovevano essere garantiti. La nostra stessa Costituzione, infatti, riconosce al minore i diritti inviolabili dell’uomo “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, impegnandosi a rimuovere gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (artt. 2 e 3, comma 2, Cost.). I temi della famiglia, dei figli e della loro educazione trovano posizione nell’intero titolo II della Carta Costituzionale. L’ordinamento riconosce il singolo minore, sia come individuo che nella società in cui opera, e si impegna a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità. In tale prospettiva, ciò che la Costituzione evidenzia non è un principio generico di tutela di un soggetto in posizione d’inferiorità, ma la condizione del minore in quanto persona, tutelandone i diritti della personalità . Tra i diritti della persona, così come sono riconosciuti negli atti costitutivi delle Convenzioni e negli atti internazionali , assume particolare rilevanza il diritto all’educazione. Com’è stato opportunamente osservato, il diritto all’educazione è sinonimo di diritto “alla maturazione di una personalità autonoma capace di determinarsi liberamente nella vita” . In realtà, il minore non è pienamente capace di poter percepire concretamente quali sono i suoi diritti, e di poterne pretendere la loro attuazione. Anche per questa circostanza appare necessario che l’ordinamento li garantisca e li promuova. Il primo organismo che dovrebbe adempiere a tale funzione è il nucleo familiare. La realtà odierna ci propone però casi in cui i genitori non sono in grado di valorizzare il minore come titolare di autonomi diritti, ma essa stessa ha bisogno di essere supportata a ricoprire tale funzione . Esempi tipici sono rappresentati dalle crisi familiari che mettono a rischio la crescita equilibrata dei soggetti indifesi. In tali casi d’insufficienza, vi è l’obbligo d’intervenire sia in sede giudiziaria, sia in sede amministrativa; luoghi in cui l’interesse del minore deve trovare piena tutela ed attuazione risolvendo le problematiche con soluzioni adeguate ed improntate, principalmente, all’interesse del minore . La decisione di interessarmi alla tematica qui discussa, nasce dalla considerazione che si tratta di una vera e propria emergenza sociale ed è palese un’urgenza di iniziative per poter comprendere meglio la natura del fenomeno e per poter cercare di delineare una linea culturale e politica di comportamento da parte di tutta la società, dalle autorità di governo fino ai comuni cittadini. Occorre porre molta attenzione all’attuale fenomeno migratorio, del tutto diverso dai movimenti intraeuropei, che ha portato la nostra società a diretto contatto con realtà lontane. Tale nuova situazione impone l’adozione di due politiche autonome dalle diverse finalità. La politica migratoria, nei suoi complessi aspetti di gestione dei flussi, di accoglienza e di inserimento nella società, è volta al soddisfacimento delle esigenze del mercato del lavoro e della solidarietà internazionale; le politiche demografiche, volte a garantire i diritti del cittadino, del minore nonché il rispetto e la salvaguardia di aspetti identitari e di equilibri sociali. Di tutti i Paesi interessati a tali problematiche, l’Italia è risultata essere la più impreparata sotto ogni profilo: culturale, politico, economico, giuridico e sociale. Negli anni novanta l’alto numero di immigrati, principalmente musulmani, ha destato l’attenzione verso lo studio del fenomeno che non è meramente legato all’accoglienza ma è di natura culturale, profilo più delicato e complesso che comporta questioni in ordine al loro inserimento all’interno della nostra società e, in un panorama più ampio, nell’Unione europea. In tale ottica, anche la Chiesa è chiamata ad affrontare una duplice sfida, da un lato creare l’unità, riconoscendo e valorizzando ogni altra esperienza di natura religiosa e culturale, in primo luogo quella di chi ha dovuto abbandonare il proprio luogo di origine, affinché non perda la sua identità, e dall’altro saper mediare tra queste esperienze e la propria esperienza autoctona di Chiesa locale . L’obiettivo deve essere quello <> . Nello specifico, alla luce di un fenomeno quale la migrazione di massa, è fondamentale chiedersi quali cambiamenti si impongono sulla strada del rinnovamento della nostra società, e se in concreto saremo capaci di dar vita ad un progetto di convivenza pacifica tra popoli e culture spesso distanti tra loro.
2004
88-243-1540-2
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